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«lette e rilette, viste e riviste, ci sorndono ancora liete e fresche di giovinezza immortale» (ne l’Introduz. alle Lettere di C. G., p. 52); e nota a ragione che lo zio Cristofolo della Casa nova è ancora una modificazione del carattere dei Rusteghi e contiene in germe il Sior Todero brontolon e lo zio Bernardino del Ritorno dalla villeggiatura, burberi non benefici (Scelta di comm. di C. G., Vol. II, p. 234). Opera di psicologo pare anche al Giovagnoli «questo studio delie umane passioni così sottile e profondo da permettere all’autore un vero lusso di riproduzioni dello stesso carattere, ma sempre sotto una forma nuova, in guisa che ognuno rassomiglia ma non è uguale all’altro» (Meditaz. d’un brontolone p. 221). Ettore Piazza è a tal punto persuaso consistere il sommo dell’arte di Goldoni in tale acuta osservazione della natura umana, da credere che il Baretti medesimo «se invece di trovarsi a giudicare il primo volume di lui avesse avuto sott’occhio lavori come i Rusteghi ad esempio, e questo Todero, sarebbe stato forse indotto per gran parte a ricredersi, facendo omaggio al genio che riverenti ammirano i posteri» (Il tipo dell’avaro in Plauto e nei princip. suoi imitat. Foligno 1887, p. 107). Giulio Caprin stima la commedia «impareggiabile di verità umana ed artistica» (C. G. La sua vita e le sue op., p. 169); Domenico Oliva scrive che «appartiene alla piena maturità del genio del poeta; la sua arte s’è fatta insuperabile e perfetta; il suo disegno è il più armonico che si possa immaginare, è d’un classico purissimo, il dialogo ha raggiunto il maximum della vivacità e del colorito (Note d’uno spettatore, p. 46).

Né lascierò nella penna il Gavi pel quale G. vi zoppica un po’ nell’invenzione, ma si dimostra unico nel cogliere temperamenti così marcati e distinti, vivificandoli al punto che lo spettatore li approva e giudica imitati dal vero (Della vita di C. G. ecc. p. 158); il Molmenti, che in quel malcontento di tutto e di tutti fino al grottesco, la ruvidezza scompagnata da ogni generosità, il dire interrotto, il ripetere di apostrofi veementi, scorge a ragione «tai difetti dell’animo umano seguiti dal commediografo nel loro naturale procedimento in tutte quelle contraddizioni, quelle varietà, quelle mezze tinte, quei zig-zag, che il Baretti non comprendeva» ma che pur formano l’evidenza della vita (C. G. Studio, p. 107); Edgardo Maddalena che considera questo Todero insieme ai Rusteghi e alla Casa nova «perfetti studi di caratteri e d’interno» C. G. nel 2.o cent. della sua nasc. Lettura - Trieste, Caprin 1908, pp. 11 e 23); Renato Simoni che proprio del Todero si vale contro coloro che negano a Goldoni il valore di psicologo (in La Vedetta, N.o unico, p. 285); Giacinta Toselli, ammirata del dialogo, strumento squisito nelle mani di Goldoni, e del protagonista, tipo interamente comico (Saggio d’uno studio estetico e stilist. delle comm. dialett. di G., pp. 55 e segg.; 72 e segg.); e per non dilungarmi in altre citazioni, e finire con un’autorità di primo ordine, Isidoro Del Lungo che a dimostrare pur egli in Goldoni dialettale l’impareggiabile artefice della parola, riferisce nella sua magnifica lettura. Lingua e dialetto nelle comm. di G., il discorso di Marcolina quando teme che il missier voglia sagrificare la figliuola di lei sposandola al figlio dei fattore, e tutta la scena degli approcci di Meneghetto con sior Todero per ottenere la mano della figliuola (Firenze, tip. Galileiana 1912, pp. 38 e segg.).

Degli scrittori stranieri, il Rabany dice che quando si considera in Goldoni il poeta nazionale di Venezia; quando si è famigliarizzati col linguaggio