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42 ATTO SECONDO


Paolo. (Andiamo, andiamo, prima che si penta. Si vede che non lo fa per economia, lo fa per qualche altro diavolo che ha per il capo). (porta via la cassetta, e parte)

SCENA III.

Vittoria e Leonardo.

Vittoria. Ma si può sapere il motivo di questa vostra disperazione?

Leonardo. Non lo so nemmen io.

Vittoria. Avete gridato colla signora Giacinta?

Leonardo. Giacinta è indegna dell’amor mio, è indegna dell’amicizia della mia casa, e ve lo dico, e ve lo comando, non vo’ che la pratichiate.

Vittoria. Eh! già, quando penso una cosa, non fallo mai. L’ho detto, e così è. Non si va più in campagna per ragione di quella sguaiata, ed ella ci anderà, ed io non ci potrò andare; e si burleranno di me.

Leonardo. Eh! corpo del diavolo, non ci anderà nemmen ella. Farò tanto che non ci anderà.

Vittoria. Se non ci andasse Giacinta, mi pare che mi spiacerebbe meno di non andar io. Ma ella sì, ed io no? Ella a far la graziosa in villa, ed io restar in città? Sarebbe una cosa, sarebbe una cosa da dar la testa nelle muraglie.

Leonardo. Vedrete che ella non anderà. Per conto mio, ho levato l’ordine de’ cavalli.

Vittoria. Oh sì, peneranno assai a mandar eglino alla posta!

Leonardo. Eh! ho fatto qualche cosa di più. Ho fatto dir delle cose al signor Filippo, che se non è stolido, se non è un uomo di stucco, non condurrà per ora la sua figliuola in campagna.

Vittoria. Ci ho gusto. Anch’ella sfoggierà il suo grand’abito in Livorno. La vedrò a passeggiar sulle mura. Se l’incontro, le vo’ dar la baia a dovere.