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pidezza dell’arte. Ma in un certo punto il piccolo mondo borghese ravvivato dal poeta veneziano s’innesta sull’avventuroso e sull’arruffato della commedia dell’arte e illumina la scena (I, 5): per pochi minuti, che subito ritorna l’avventura, la quale riporta il Goldoni alla tradizione e lo fa continuar con scipitaggini.

Per far la commedia d’avventura, gli manca il senso della sorpresa pittoresca e grandiosa; sa ritrar solo le avventure piccole e pettegole della vita quotidiana di Venezia, non quelle della vita eroica e fantastica.... Non può far che la commedia d’avventura schematica, come la faceva la commedia dell’arte» (I limiti dell’arte goldoniana, in Scritti Vari ecc. in onore di R. Renier, Torino, 1913, p. 82). — Tutto ciò risulta verissimo per chi nel Buon compatriotto non cerca e non vede che la commedia d’avventura, e vorrebbe riprodotta la vita eroica e fantastica; ma a mio parere l’intenzione dell’autore era molto più modesta, bastandogli di far brillare ancora una volta lo spirito delle maschere sull’intreccio artificioso e ingenuo della vecchia commedia a soggetto (Carlo Goldoni non è Carlo Gozzi): alla quale ultima poi non credo fosse del tutto straniero quel «piccolo mondo borghese» dove ci riconduce la morbinosa Costanza Toffolotti.

Tra i lazzi copiosissimi del Buon compatriotto non conteremo anche gli errori d’italiano della vedovella? Il Momigliano avverti quello dei «finti propositi disperati» nella scena 14 dell’atto secondo; e in nota aggiunse: «Qualche volta però in questi lazzi [il Goldoni] sa veder lo spunto psicologico e ne sa ricavar la didascalia breve e fine, che dipinge in un attimo la comicità d’un gesto e il suo significato rispetto all’indole di chi lo fa: si veda nel Buon comp. (I, 2) l’atteggiamento di Traccagnino, quando gli si parla di buoni bocconi» (l. c, p. 83). Già Vernon Lee aveva citato qualche scena a soggetto, per dare un esempio «del modo con che Goldoni trattava le maschere» (Il settecento in Italia, ed. ital., Milano, 1882, II, 248-9).

Ma, come ripeto, questa commedia ebbe sempre la fortuna avversa. Appena Ignazio Ciampi, ch’io rammenti, la nominò, fra i biografi del Goldoni; e la credette composta in Francia. (La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 141; vedasi inoltre Molineri, Storia della letter. ital., 1898, III, p. 171). Ben se ne ricordò la censura al tempo di Napoleone, per segnarla tra le commedie proibitissime (Paglicci-Brozzi, La politica di C. G., in Scena illustrata, 1888, n. 23). — Tuttavia non sembra improbabile che sulla traccia del Maddalena e del Momigliano, i quali da poco l’additarono, qualche altro studioso la prenda ormai in esame.

G. O.


Il Buon compatriotto fu impresso la prima volta nel 1790 a Venezia, nel tomo quinto, classe seconda, dell’edizione Zatta; e fu ristampato a Lucca (Bonsignori XXV, 1791), a Livorno (Masi XXVIII, 1792). ancora a Venezia (Garbo XV. 1798) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa fu compiuta sul testo fedele dell’edizione Zatta. Valgono le solite avvertenze.