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380 | ATTO SECONDO |
Servitore. La vegna con mi, signor: no la s’indubita gnente. (Poverazza! Le putte le me fa compassion). (parte)
Ridolfo. Non vi scordate di me. (partendo)
Isabella. Me ne ricordo pur troppo.
Ridolfo. Amatemi, ch’io vi son fedele. (partendo)
Isabella. Può essere, ma ne dubito ancora.
Ridolfo. Giuro al cielo! (tornando indietro con caldo)
Isabella. Partite. (con forza)
Ridolfo. Non mi fate fare degli spropositi. (Quando ci trovo delle difficoltà, allora m’innamoro come una bestia). (parte)
SCENA XV.
Isabella sola.
Possibile ch’ei m’inganni? No, sarebbe troppo inumano. Ma s’egli si protesta per me fedele, sarò io ingrata con esso lui? No, non fia vero; non lo sarò mai.
SCENA XVI.
Pantalone, Dottore, Leandro e la suddetta.
Pantalone. Oh fia mia, semo qua. Questo xe sior Dottor Balanzoni che ti cognossi, e questo xe sior Leandro so fio.
Dottore. (Fa il suo complimento a Isabella, e le presenta il figlio, come a lei destinato in consorte.)
Isabella. Mi sorprendono, signore, le vostre finezze, perchè ora mi giungono inaspettate. Scusatemi se non vi rispondo come dovrei. (Non so nemmeno quel che mi dica).
Pantalone. (La gh’ha del spirito, ma cussì all’improvviso la se vergogna un pochetto). (al Dottore)
Dottore. (Dice a suo figlio che faccia il suo dovere colla sposa.)
Leandro. Signora, la riverisco divotamente. (freddamente)
Isabella. Serva umilissima. (sostenuta)
Leandro. (Mi sta nel cuor la Contessa).
Isabella. (Non mi so scordar di Ridolfo).