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378 ATTO SECONDO

Servitore. Ghe l’ho ditto ch’el me diga chi el xe, e nol lo vol dir.

Isabella. Ditegli che mi scusi, ch’io son qui sola, che non vi è mio padre, e ch’io non ricevo chi non conosco.

Servitore. Benissimo, ghe lo dirò. (parte)

Isabella. Chi mai può essere? Ridolfo non crederei. Sa ch’io sono in casa di mio padre, non si prenderebbe una simile libertà.

SCENA XIV.

Ridolfo e la suddetta.

Ridolfo. Possibile che non mi sia permesso di riverirvi?

Isabella. Oh cieli! Voi qui, signore?

Ridolfo. Son qui, impazientissimo di rivedervi.

Isabella. In casa mia non si viene senza la permissione di mio padre.

Ridolfo. Vostro padre non c’è, e voi potete accordarmi un momento di grazia.

Isabella. È molto, signore, che vi ricordiate ancora di me.

Ridolfo. Potete voi dubitare ch’io mi dimentichi dell’amor vostro e dell’amor mio?

Isabella. Veramente la parola che data mi avete, doveva farvene sovvenire anche prima d’ora.

Ridolfo. Subito che ho avuta nuova di voi, sono volato a protestarvi lo stesso affetto e la stessa stima.

Isabella. Che dirà ella, se arriva a saperlo, la vostra tenera albergatriee?

Ridolfo. Come, signora? Dove io pago il mio danaro, dovrò aver soggezione?

Isabella. Oltre al danaro, non le avete voi accordata la grazia vostra e il vostro cuore medesimo?

Ridolfo. V’ingannate, se ciò credete; il cuor mio è tutto vostro, e mi lusingo che non siate meco nè infedele, nè ingrata.

Isabella. Ah! signor Ridolfo, ora sono in balìa di mio padre; egli intende di voler disporre di me.