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362 | ATTO PRIMO |
Isabella. Vi giuro, signore, che mille volte ho fatte simili considerazioni, ed altrettante ho risolto di fare il dover mio, e di allontanare da me il pericolo che mi sovrastava; ma, ohimè, ha saputo vincermi con tal arte quell’amabil insidiatore, che non ho potuto resistere alle sue preci, alle sue lusinghe.
Pantalone. Vien qua, sentite qua. Ti sa che te voggio ben. Sentite qua, te digo. (siedono)
Isabella. Voi siete per me amoroso, ed io non merito tanta bontà.
Pantalone. Dime tutto, confìdeme tutta la verità. Che impegni gh’astu co sto sior cavalier?
Isabella. Di dar a lui la mano di sposa, e di non isposare altri che lui.
Pantalone. Aveu fatto scrittura?
Isabella. Non signore; siamo unicamente in parola; ma sapete benissimo che la parola d’una fanciulla d’onore....
Pantalone. Oh siora sì, co se tratta de sta sorte de impegni, se mette in campo la parola d’una fanciulla d’onore. Disème un poco: gh’aveu altro debito che de parole?
Isabella. Non altro.
Pantalone. Se porlo vantar de gnente de vu?
Isabella. In che proposito, signore?
Pantalone. Oh via, no me fe la semplice, e no me oblighè a parlar più chiaro de quel che parlo. Che confidenza gh’aveu dà a sto sior?
Isabella. In questo poi, siate certo che ho usato sempre il più onesto e il più rigoroso contegno.
Pantalone. Benissimo. Co l’è cussì, no gh’avè scrittura, no gh’avè certi impegni, a Livorno gieri in t’una spezie de libertà: qua ghe xe vostro padre; vostro padre ve pol comandar; co mi no voggio, sta gran parola no la podè mantegnir, e sto sior foresto, o per amor o per forza, bisognerà ch’el la tegna1, e ch’el ve lassa in pienissima libertà.
Isabella. Non è possibile; non lo farà mai.
- ↑ Tegnirla, inghiottirla: Patriarchi e Boerio.