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IL BUON COMPATRIOTTO 359


Costanza. Védela, se anca io so parlar toscano?

Isabella. Posso assicurarvi ch’è un cavaliere il più civile e il più onorato del mondo.

Costanza. Dasseno, dasseno, la me consola. Me pareva de esser segura, ma adesso stago ancora più quieta.

Isabella. E molto ch’egli è in Venezia?

Costanza. Xe debotto un mese.

Isabella.(E non è venuto a trovarmi? Possibile ch’ei non sappia ch’io sono qui?)

Costanza. La diga; l’ala cognossù a Livorno?

Isabella. Colà per l’appunto l’ho conosciuto.

Costanza. Gh’avevelo morose a Livorno?

Isabella. Perchè mi fa ella una simile interrogazione?

Costanza. Perchè, ghe dirò: ghe voggio far una confidenza. El m’ha promesso de sposarme.

Isabella. Come?

Costanza. No la capisse? L’ha promesso de sposarme io.

Isabella. Sposar lei?

Costanza. Mi, io, come che la vol.

Isabella. Signora Costanza, l’amicizia che mi ha conservata per tanti anni, e la confidenza che or usa meco, merita ch’io le parli con eguale sincerità. Sappia dunque che il signor Ridolfo ha data parola in Livorno...

Costanza. A chi? (alzandosi)

Isabella. A me. (alzandosi)

Costanza. Ah cospetto del diavolo. (battendo i piedi)

Isabella. E ho piacere che sia in Venezia; e vedremo s’ei pensa di usarmi una villania, o se la signora Costanza si lusinga senza ragione.

Costanza. Mi no son stramba, e non son una puttela che non sappia el viver del mondo. Ghe digo ch’el m’ha promesso, e che voggio ch’el me mantegna quel che el m’ha ditto.

Isabella. No certo; disingannatevi su questo punto. O Ridolfo sposerà me, o non isposerà nessuna donna di questo mondo...