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28 ATTO PRIMO


Filippo. Volete venir con noi?

Guglielmo. Oh! signor Filippo, io non ho alcun merito, nè oserei di dare a voi questo incomodo.

Filippo. Io non son uomo di ceremonie. Posso adattarmi allo stile moderno in tutt’altro, fuor che nell’uso dei complimenti. Se volete venire, vi esibisco un buon letto, una mediocre tavola, ed un cuore sempre aperto agli amici, e sempre eguale con tutti.

Guglielmo. Non so che dire. Siete così obbligante, che io non posso ricusare le grazie vostre.

Filippo. Così va fatto. Venite, e stateci fin che vi pare; non pregiudicate i vostri interessi, e stateci fin che vi pare.

Guglielmo. A che ora destinate voi di partire?

Filippo. Non lo so; intendevi col signor Leonardo.

Guglielmo. Viene con voi il signor Leonardo?

Filippo. Sì, certo, abbiamo destinato d’andare insieme con lui e con sua sorella. Le nostre case di villa sono vicine, siamo amici, e anderemo insieme.

Guglielmo. (Questa compagnia mi dispiace. Ma nè anche per ciò voglio perdere l’occasione favorevole di essere in compagnia di Giacinta).

Filippo. Ci avete delle difficoltà?

Guglielmo. Non signore. Pensava ora se dovea prendere un calesso, o, essendo solo, un cavallo da sella.

Filippo. Facciamo così. Noi siamo in tre ed abbiamo un legno da quattro; venite dunque con noi.

Guglielmo. Chi è il quarto, se è lecito?

Filippo. Una mia cognata vedova, che viene con noi per custodia di mia figliuola; non già ch’ella abbia bisogno di essere custodita, che ha giudizio da sè, ma per il mondo, non avendo madre, è necessario che vi sia una donna attempata.

Guglielmo. Va benissimo. (Procurerò ben io di cattivarmi l’animo della vecchia).

Filippo. E così? Vi comoda di venir con noi?

Guglielmo. Anzi è la maggior finezza che io possa ricevere.