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cit., p. 261). Dello stesso espediente fece uso il Nostro — avverte Pietro Toldo — nel Vecchio bizzarro sempre per impedire a un personaggio di chieder quattrini (cfr. anche Schmidbauer, op. cit., p. 46, 47) e nella Figlia ubbidiente allo scopo di evitare la lettura d’una lettera (op. cit., p. 379). Era anche questo, secondo il Momigliano, un lazzo del teatro estemporaneo e a parer suo non fece bene il Goldoni a giovarsene in una commedia seria (I limiti dell’arte goldoniana. Miscellanea Renier 1913, p. 83). A noi sembra però che egli ne abbia saputo trarre mirabile partito e facciamo nostra senza esitare questa lode del De Gubernatis: «Le due scene sono vive, e certamente studiate sul vero; non pochi avranno conosciuto qualche prototipo dello zio Bernardino, che gli ha pure sopravvissuto; e, per quanto il Goldoni abbia tenuto a farci sapere che un tal carattere gli pareva insoffribile, irritante, odioso, dobbiamo ritenere che egli fosse contento del modo con cui l’aveva sostenuto nella commedia poichè, nelle Memorie, credette opportuno riprodurre per intero le due scene» (Carlo Goldoni, Firenze, 1911, pagina 275). Più autorevole ancora quest’elogio di Ferdinando Martini che, in una sua Antologia, accompagna questo e un altro frammento dal teatro del Nostro: «Io dal Goldoni ho tratto tre scene, che bastano sole a dimostrare non soltanto quale scrittore di dialogo mirabile, di comica efficacia, egli fosse, ma come pronto a dipingere con poche maestrevoli pennellate i caratteri» (Prosa viva, Firenze, 1 896, pp. 32 1, 322).

Il Ritorno dalla Villeggiatura non ebbe la fortuna delle Smanie, e se ne intende la ragione. Una trilogia è carico troppo greve per chi la recita e per chi ascolta. Se la prima parte si può eseguire benissimo senza le altre, come staccare il Ritorno dalle sorelle, alle quali è si strettamente legato? Per le recite si vedano le Note a pp. 94, 176. Aggiungiamo qui un accenno del Ciampi, dove alludendo all’insuperata verità d’alcuni interpreti goldoniani dei suoi giorni (Gaetano Vestri, Amilcare Bellotti, Calloud, ecc.) scrive: «Parvemi poi trovarmi quasi nel mezzo degli intimi amici, quando vidi nel carnevale del 1853 il Ritorno dalla villeggiatura recitata dalla compagnia di Alamanno Morelli, diretta dal vecchio Bon» (La Commedia italiana, Roma, 1880, p. 235).

Francesco Cameroni accolse la nostra commedia tra i Capolavori di C. G. (n. 46, Trieste 1857), ma in quella sua collezione il numero dei capolavori (più di sessanta!) è tale che ne va diminuito l’onore fatto a ogni commedia. Tra le Commedie scelte, in coda alle due compagne, il Ritorno si legge pure nella Raccolta, assai men copiosa, del Vignozzi di Livorno (1813, vol. V). Del resto, per i motivi già addotti, le innumerevoli Scelte e Antologie di lavori interi largheggiarono d’ospitalità con le Smanie soltanto. Se non la commedia tutta, fortunatissimo fu l’episodio in casa di Bernardino, che si legge in buon numero di Antologie (F. Carrara, Antologia italiana, Vienna, 1857- 1859, vol. IV, pag. 207-21 I; A. D’Ancona e O. Bacci, Manuale della letteratura italiana, vol. IV, pp. 91-95, Firenze, 1894; Ferdinando Martini, op. cit.., pp. 321-326; Maddalena, Raccolta di prose e poesie, Vienna, 1909, pp. 45-50; L. Morandi, Letture educative. Città di Castello, 1912, pp. 111-116; nè certo son tutte). L’ultimo citato sdegnò l’originale e preferì tradurre dalle Memorie assicurando il lettore che, come per un’altra traduzione del suo volume così per questa, «l’Italia non ha finora niente di meglio». Aggiunse ancora: «Salvo le differenze di sostanza, il testo italiano della scena del Goldoni