Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/346

330 ATTO TERZO


di lei virtù, e per ultimo contrassegno della mia stima, eccomi, signora Vittoria, eccomi pronto ad offerirvi la mano.

Vittoria. Per la stima che avete di lei, non per l’amore che voi provate per me?

Giacinta. Ha ragione la signora Vittoria, e mi maraviglio che siate sì poco compiacente...

Guglielmo. Non v’inquietate, di grazia; son ragionevole più di quel che credete. Signora Vittoria, assicuratevi di avere in me un conoscitore del vostro merito, uno sposo fedele, un rispettoso consorte.

Vittoria. Tutto, fuori che amante.

Leonardo. Finiamola con queste vostre caricature. O porgete ad esso la mano, o vi metterò in un ritiro.

Vittoria. Mi fa ridere il signor fratello. Signor Guglielmo, non forzata, come voi parete di esserlo, ma del miglior cuore del mondo vi do la mano.

Guglielmo. E per mia sposa vi accetto.

Vittoria. Abbiate almeno compassione di me. (a Guglielmo, teneramente)

Guglielmo. (Io merito più compassione di lei).

Tognino. Nozze, nozze, dell’altre nozze. (saltando)

Filippo. Sì, nozze, nozze. E quando si faranno le vostre nozze? (a Tognino)

Tognino. Sono fatte, le abbiamo fatte. Sì, sì, lo voglio dire, son maritato.

Costanza. Sciocco, imprudente, senza giudizio. (a Tognino)

Rosina. Sì, sì, non si può nascondere, si ha da sapere, ed ho piacere ch’ei l’abbia detto.

Giacinta. Compatisco la signora Costanza, s’ella desiderava di celare un maritaggio che può essere criticato; e voglia il cielo che non si lagnino un giorno questi due sposi, del comodo che ha loro offerto la troppo libera villeggiatura. Di più non dico; so io qual piacere ho provato, e quanto caro mi costa il divertimento. Lode al cielo son maritata; parto per Genova, e parto con animo risoluto di non rammentarmi che il mio dovere. Desidero a mia cognata quella pace e quella