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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA 331

Giacinta. No, forzatamente non mi conduco a sposarvi. Niuno potrebbe usarmi violenza, quand’io non fossi da me medesima persuasa. Scusate la debolezza del sesso, se non vi pare che meriti qualche lode la verecondia. Passar dallo stato di libera a quello di maritata non si può far senza orgasmo, senza una intema commozione di spiriti e di pensieri. Staccarsi tutto ad un tratto un affetto dal seno per introdurne un novello, lasciar il padre per seguire lo sposo, non può a meno di non agitar un cuor tenero, un cuor sensibile e indebolito. La ragione mi scuote. La mia virtù mi soccorre, ecco la mano: son vostra sposa. (dà la mano a Leonardo)

Leonardo. Sì, cara, io son vostro, voi siete mia. (dà la mano a Giacinta)

SCENA ULTIMA.

Tognino e detti.

Tognino. Nozze, nozze, evviva: si son fatte le nozze, (saltando)

Costanza. Sciocco!

Rosina. Ma via! Sempre lo mortificate. (a Costanza)

Leonardo. Signor Guglielmo, prima ch’io parta, mi lusingo che si stabilirà un po’ meglio l’impegno vostro con mia sorella.

Vittoria. Questa sera io spero che si sottoscriverà questa carta.

Giacinta. A che servon le carte? A che servon le scritture? A null’altro che a intorbidar gli animi e ad inquietare. Volesse il cielo ch’io avessi sposato il signor Leonardo quel giorno medesimo che io mi sono in carta obbligata. Vari disordini sono nati, che non sarebbero succeduti. La signora Vittoria ha in deposito la sua dote; che il signor Guglielmo si ricordi de’ suoi doveri, le dia la mano, e la sposi.

Vittoria. Dormite, signor Guglielmo?

Guglielmo. Non dormo, signora mia, non dormo. Sono bastantemente svegliato per intendere gli altrui detti, e per conoscere i miei doveri. Sono un uomo d’onore; se tal non fossi, non avrei impegnata la mia parola. Merita lode la signora Giacinta, meritano lode i di lei consigli; ho sempre ammirato la