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326 | ATTO TERZO |
Ferdinando. Colla maggiore onoratezza del mondo. Sentite: Crudele: (tutti ridono moderatamente) Voi mi avete ferito il cuore; voi siete il primo che abbia avuto la gloria di vedermi piangere per amore. Se sapeste, se vi potessi dir tutto, vi farei forse piangere per compassione. Ah! la modestia non mi permette dir d’avvantaggio. Dacchè siete di qua partito, non ho mangiato, non ho bevuto, non ho potuto dormire. Povera me! mi son guardata allo specchio, e quasi più non mi riconosco. S’impassiscono le mie guancie, e il lungo pianto m’indebolisce la vista a segno che appena veggio la carta su cui scrivo. Ah! Ferdinando, cuor mio, mia speranza, bellezza mia. (tutti ridono) Ridete forse perchè mi dice bellezza sua?
Vittoria. Ci vede poco la poverina.
Rosina. Ha lippi gli occhi.
Costanza. Ha la lacrimetta perenne.
Ferdinando. Bene, bene. Ella conosce il merito, e tanto basta.
Vittoria. Sentiamo la conclusion della lettera.
Ferdinando. Meritereste che non leggessi più oltre.
Vittoria. Eh! via, vogliamo sentire.
Ferdinando. Dove sono? Dove ho lasciato?
Vittoria. Dormite, signor Guglielmo?
Guglielmo. Signora no.
Ferdinando. Ecco, l’ho ritrovato. Mia speranza, bellezza mia, venite per pietà a consolarmi. Ah! sì, venite; se voi mi amate, non sarò ingrata; e se non vi basta il cuore che vi ho donato, venite, o caro, che vi esibisco e prometto... Che diavolo! Scrive qui, che non si capisce; quando ha scritte queste due righe, convien dire che le tremasse molto la mano. Ora, ora, principio a intendere. Venite, o caro, che vi esibisco e prometto una donazione, la donazione, un’ampia donazione, vi prometto la donazione (un’altra volta) la donazione vi prometto di tutto il mio.
Vostra fedelissima amante e futura |
Vittoria. Bravo!