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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA 327

Filippo. Se ci favorisce una camera, le dico due parole, e poi torniamo qui a godere della sua amabile compagnia, (a Costanza)

Giacinta. Se la ci facesse questo piacere... (a Costanza)

Costanza. Perdonino, le camere sono ancora ingombrate. Se comandano, si possono servire in sala.

Filippo. Sì, sì, tutto comoda; andiamo, andiamo. Con permissione. (Oh io, quando si tratta di far presto e bene!) (parte)

Giacinta. Con licenza. Ora torno. (Mi trema il core). (parte)

Fulgenzio. (Oh! cosa sperate?) (a Leonardo)

Leonardo. (Pochissimo). (a Fulgenzio) (Ah! Guglielmo vuol essere la mia rovina). (parte)

Fulgenzio. (Se fosse mia figlia, o dovrebbe fare a mio modo, o crepare). (parte)

Tognino. (Voglio andare in cucina a sentir quel che dicono). (parte)

SCENA XI.

Vittoria, Guglielmo, Costanza, Rosina e Ferdinando.

Guglielmo. (Mi par di essere al punto di dover sentire la mia sentenza. Chi sa ancora ch’ella non sia favorevole?)

Ferdinando. Chi sa quanto staranno in questo loro colloquio; ed io muoio di volontà di leggere quella lettera.

Vittoria. Via, se la volete legger, leggetela. La sentiremo noi; e non mancherà tempo di farla sentire alla signora Giacinta.

Costanza. Confesso il vero, che la sento anch’io volentieri.

Rosina. Povera donna! quando me l’ha data, piangeva.

Ferdinando. Cospetto! pare scritta in arabico.

Vittoria. Signor Guglielmo, dormite?

Guglielmo. Signora no, non dormo.

Vittoria.(Io non so come abbia da essere con quest’uomo. Egli è tutto flemma, io son tutta foco).

Ferdinando. Ora ho principiato a trovare il filo.

Vittoria. Leggete tutto, e non ci fate la baronata di lasciar fuori qualche bel sentimento.