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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA | 325 |
Giacinta. E tutti sanno essere una passione che non merita di essere secondata.
Vittoria. Questa lettera la sentirei anch’io volentieri. Eccolo, eccolo, il signor Ferdinando.
SCENA IX.
Ferdinando, Tognino e detti.
Ferdinando. Venite qui, gioia mia, dolcezza mia, amabilissimo il mio Tognino.
Vittoria. (Oh bello!)
Costanza. (L’ho detto!)
Rosina. (Grand’impertinente è quel signor Ferdinando!)
Tognino. Padroni. Servitor suo.
Costanza. Andate via di qua. (a Tognino)
Ferdinando. Lasciatelo stare, signora, e portategli rispetto, che è maritato.
Costanza. Chi ve l’ha detto che è maritato?
Ferdinando. Mi è stato detto da lui.
Costanza. Non è vero niente. (a Ferdinando)
Ferdinando. Non è vero niente? (a Tognino)
Tognino. Non è vero niente. (a Ferdinando, mortificato)
Ferdinando. Oh! bene dunque, se non è vero, ci ho gusto. Se non siete sposato colla signora Rosina, sappiate che io ci pretendo, e che voi non l’avrete, e la sposerò io.
Tognino. Cu, cu! (fa il verso del cucco, burlandosi di lui)
Ferdinando. Cu, cu? Che cosa vuol dire questo cù, cù?
Tognino. Corpo di bacco! Vuol dire che la Rosina...
Rosina. Tacete voi. Dite al signor Ferdinando che vada a sposare la signora Sabina. Ecco una sua lettera che viene a lui.
Ferdinando. Una lettera della mia cara Sabina?
Rosina. Sì, signore, me l’ha consegnata questa mattina.
Ferdinando. Oh! cara la mia gioietta! La leggerò col maggior piacere del mondo.
Vittoria. La vogliamo sentire anche noi.