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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA 313

Fulgenzio. Ditemi in confidenza, fra voi e me: questi ottomila scudi li avete voi preparati?

Filippo. Per dirvi sincerissimamente la verità, presentemente non le potrei dare nemmeno ottomila soldi.

Fulgenzio. E come intendereste dunque di fare?

Filippo. Non saprei. Ho dei fondi, ho dei capitali; credete voi che non si potessero ritrovare?

Fulgenzio. Sì, a interesse si potrebbero ritrovare.

Filippo. Bisognerà dunque ch’io li ritrovi a interesse.

Fulgenzio. E che paghiate almeno il quattro per cento.

Filippo. Bisognerà ch’io paghi il quattro per cento.

Fulgenzio. Sapete voi che il quattro per cento, per un capitale di ottomila scudi, porta in capo all’anno trecento e venti scudi d’aggravio?

Filippo. Corpo di bacco! Trecento e venti scudi di meno?

Fulgenzio. Eppure questo matrimonio si ha da concludere. La scritta è fatta. La dote voi l’avete promessa.

Filippo. Ma io son uno che fa e promette, perchè mi fanno fare e promettere. Quando siete venuto voi a parlarmi, perchè non mi avete fatti allora que’ conti che mi fate presentemente? Scusatemi, io credo di aver occasione di lamentarmi di voi. Se mi foste quel buon amico che dite...

Fulgenzio. Sì, vi son buon amico. E un mio consiglio vi metterà in calma di tutto, e vi farà comparir con onore. Voglio che maritiate la figlia senza incomodarvi di un paolo, senza dipendere da nessuno. E colla sicurezza ch’ella stia bene, e che non le possa essere intaccata la dote.

Filippo. Se mi fate veder questa, vi stimo per il primo uomo, per la prima testa di questo mondo.

Fulgenzio. Ditemi un poco: a Genova non avete voi degli effetti?

Filippo. Sì, ci ho qualche cosa che mi ha lasciato un mio zio. Ma non so dire precisamente che cosa. Maneggia uno ch’era il di lui ministro. In sei anni non mi ha mandato altro che due ceste di maccheroni.