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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA | 307 |
bligata, permettetemi ch’io vi dica ch’io sono libero tuttavia, che non ho ancora firmata la scritta, e che non m’indurrò mai a sottoscriverla, se non quando vi vedrò maritata. Di più non ardisco dirvi. Compatitemi, e sono col maggior rispetto, e colla più sincera rassegnazione, vostro umilissimo servitore.
Ah! non vi voleva di più per mettermi nella maggiore agitazione del mondo. Poss’io credere a questo foglio? Ma ei non ardirebbe inventare una falsità che si ha ben tosto a verificare; e se Leonardo è in rovina, sono io per questo in libertà di lasciarlo? Ciò dee dipendere da mio padre. E se mio padre fosse debole a segno di volermi sagrificare, sarei io obbligata ad acconsentire alla mia rovina? No, non sarei obbligata. Ogni ragione mi scioglierebbe da un tale impegno. E sciolta ch’io fossi dal vincolo di tali sponsali, potrei dar la mano liberamente a Guglielmo? Che dice il cuore? La ragion che dic’ella? Ah! la ragione ed il cuore mi parlano con due diversi linguaggi. Questo mi stimola a lusingarmi, quella mi anima ai più giusti, ai più virtuosi riflessi. Che cosa mi ha trattenuto finora dal recedere da un impegno che non è indissolubile, e preferire ad uno sposo, sì poco amato, un oggetto amabile agli occhi miei? Non altro che il mio decoro, il giusto timore di essere criticata; qualunque trista avventura dell’infelice Leonardo non metterebbe al coperto la mia debolezza. L’avere io stessa procurato gli sponsali fra Vittoria e Guglielmo, mi vieta assolutamente di farmi io stessa l’origine del loro discioglimento. Guglielmo con questa lettera viene a tentare la mia virtù. Si ha da resistere ad ogni costo. Si ha da lasciar Leonardo s’ei non mi merita; ma non si ha da rapire alla di lui germana il consorte. Si ha da penare, si ha da morire. Ma si ha da vincere, e da trionfare. (parte)
Fine dell’Atto Secondo.