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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA 287

Leonardo. (Cospetto! sarebbe per me una nuova disperazione).

Fulgenzio. (Andiamo. Liberatevi da quest’affanno di cuore).

Vittoria. Stupisco, signor fratello, che dopo quel che è accaduto in villa, usiate tanta freddezza in una cosa che vi dovrebbe interessare all’estremo.

Leonardo. (Ah! sì; Vittoria non dice male. È pericolosa l’indifferenza. Giacinta non mostra per me grand’amore, e tutto le potrebbe servir di pretesto).

Fulgenzio. (O venite, o vi pianto). (a Leonardo)

Leonardo. (Un momento per carità). (a Fulgenzio)

Vittoria. (Ehi! Ricordatevi di quella visita che ha fatto la signora Giacinta alla gastalda di Montenero). (a Leonardo)

Leonardo. (Oh malizioso rimprovero che mi trafigge!) Signor Fulgenzio, non potreste andar voi dallo zio Bernardino, e parlargli, ed intendere....

Fulgenzio. Ho capito! buon giorno a vossignoria, (in atto di partire)

Leonardo. No, trattenetevi; verrò con voi. (Dovunque mi volga, non ravviso che scogli, che tempeste, che precipizi). Andate, dite alla signora Giacinta.... non so che risolvere.... ditele quel che vi pare. Andiamo. (a Fulgenzio) Son fuor di me; non so quel che mi voglia. S’accrescono i miei timori, le mie angustie, le mie crudeli disperazioni. (parte con Fulgenzio)

SCENA IV.

Vittoria, poi Guglielmo e Ferdinando.

Vittoria. È insolentissimo questo vecchio. Ma nello stato in cui siamo, convien credere che mio fratello abbia bisogno di lui, e convien soffrirlo. Oh, oh, ecco il signor Guglielmo! È tempo che si degni di favorirmi. Ma c’è con lui quello sguaiato di Ferdinando. Pare che Guglielmo lo faccia a posta. Pare ch’egli fugga l’incontro di esser meco da solo a sola. Quest’è segno di poco amore. Sempre più si aumentano i miei sospetti.

Ferdinando. (Ma, caro amico, ho i miei affari: io non mi posso trattener lungamente). (a Guglielmo)