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284 ATTO SECONDO

SCENA II.

Fulgenzio e il suddetto.

Fulgenzio. (Eccolo qui il pazzo, il prodigo, l’infatuato).

Leonardo. Riverisco il mio carissimo signor Fulgenzio.

Fulgenzio. Servitor suo. (sostenuto) Si è divertito bene in campagna?

Leonardo. Caro signore, non mi parlate più di campagna. Le ho concepito un odio sì grande, che non andrei più a villeggiare per tutto l’oro del mondo.

Fulgenzio. Sì, il proponimento è buono. Il male è che l’avete fatto un po’ tardi.

Leonardo. È meglio tardi che mai.

Fulgenzio. Basta che si sia in tempo, e che il proponimento non nasca dall’impotenza, piuttosto che dalla volontà di far bene. (con caldo)

Leonardo. Io non credo di essere in tal precipizio....

Fulgenzio. E che cosa vi resta per essere rovinato più di quello che siete? Volete vendere a me pure lucciole per lanterne? Mi maraviglio di voi. Mi maraviglio che abbiate avuto il coraggio d’imbarazzare un galantuomo della mia sorte a chiedere per voi una fanciulla in isposa. Voi sapevate lo stato vostro, e chiamasi un tradimento, una baratteria bella e buona. Ma dal canto mio ci rimedierò: farò sapere al signor Filippo la verità; faccia poi egli quel che vuole, me ne vo’ lavare le mani, e faccio un solenne proponimento di non imbarazzarmi mai più.

Leonardo. Ah! signor Fulgenzio, per amor del cielo, non mi mettete all’ultima disperazione. Giacchè sapete lo stato mio, movetevi a compassione di me. Io sono in circostanze lagrimose, che non mi resta alcun angolo in cui sperare di rifugiarmi, sarò costretto ad abbandonarmi alla più disperata risoluzione. Senza roba, senza credito, senza amici, senza assistenza, la vita non mi serve che di rossore, che di pena. Assistetemi, signor Fulgenzio, assistetemi; sono sull’orlo del preci-