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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA | 277 |
SCENA VI.
Servitore e le suddette.
Servitore. Signora, è qui il signor Guglielmo che le vorrebbe far riverenza.
Brigida. (Veggiamo un poco la sua bravura).
Giacinta. (Oimè! che mai vuol dire questo gran fuoco che improvvisamente m’accende?)
Brigida. (Oh! come vien rossa la poverina!)
Giacinta. (Eh! coraggio ci vuole. Superiamola quest’indegna passione). Venga pure, è padrone.
Servitore. (Parte.)
Brigida. Coraggio, signora padrona.
Giacinta. Perchè coraggio? A che mi vai tu insinuando il coraggio? Di che cosa ho d’aver timore? (Eccolo. Oh cieli! tremo tutta, la passion mi tradisce ed il valore mi manca). Brigida, un improvviso dolor di stomaco mi obbliga a ritirarmi. Ricevi tu il signor Guglielmo, e digli che mi perdoni.... (Ah! mi ucciderei colle mie mani). (parte)
SCENA VII.
Brigida, poi Guglielmo.
Brigida. Gran virtù, gran coraggio! Eh poverina! è donna anch’ella, è di carne e d’ossa come le altre.
Guglielmo. Dov’è la signora Giacinta?
Brigida. Perdoni, signore, mi ha imposto di far le sue scuse.
Guglielmo. Mi ha pur detto il servitore ch’ella era qui.
Brigida. C’era, per verità; ma l’ha chiamata il suo signor padre. (Se gli dico che ha mal di stomaco, non lo crede, è una magra scusa).
Guglielmo. Aspetterò il suo comodo.
Brigida. Scusi. Che cosa vuole da lei?
Guglielmo. Ho da renderne conto a voi? Vo’ fare il mio debito, riverirla, consolarmi del suo ritorno. Ecco quello ch’io voglio; ed ecco soddisfatta la vostra curiosità.