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276 | ATTO PRIMO |
rispetto per lui, egli ne ha da avere per me. Non ha perciò da trattarmi villanamente, e da tenermi in conto di schiava.
Brigida. (Eh! già; vuol rispettare il marito, ma vorrà fare a suo modo).
Giacinta. È molto che quel temerario di Guglielmo non abbia ancora tentato di farmi una visita.
Brigida. S’egli venisse, m’immagino ch’ella non lo vorrebbe ricevere.
Giacinta. Perchè non l’ho da ricevere? Perchè ho da usare questa viltà, di mostrar paura di lui? Non ho da esser padrona di me medesima? Non avrò bastante virtù per vederlo e trattarlo con indifferenza? Sono stata debole, è vero; ma in tre giorni ch’io non lo tratto, ho avuto campo di ravvedermi e di fortificarmi lo spirito e il cuore. Bisogna pur ch’io mi avvezzi a ritrovarmi con esso lui, come mi ho da ritrovare con tanti altri. Ha da esser marito di mia cognata. Poco o molto, dobbiamo essere qualche volta insieme. Che cosa direbbe il mondo, se io sfuggissi la di lui vista? No, no, vo’ principiare per tempo ad accostumarmi a trattarlo come se mai non lo avessi nè amato, nè conosciuto; e son capace di farlo, ed ho coraggio di farlo, e vedrai tu stessa con che bravura, con che spirito mi darà l’animo di eseguirlo.
Brigida. E se il signor Leonardo non volesse ch’ella lo trattasse?
Giacinta. Il signor Leonardo sarebbe un pazzo. Perchè non ha da voler che io pratichi un suo cognato?
Brigida. Non sa ella quanto è sottile la gelosia?
Giacinta. Il signor Leonardo sa che gelosie non ne voglio.
Brigida. Ma per altro, diciamola qui fra noi, ha avuto qualche motivo d’averne.
Giacinta. Quello che è stato, è stato. Ha avuto la soddisfazione che Guglielmo dia parola di sposar sua sorella, e la sposerà, e ciò gli deve bastare. Finalmente Guglielmo è un giovane onesto e civile, ed io sono una donna d’onore; e sarebbe una temerità il pensare diversamente.
Brigida. (Può dir quel che vuole, io non mi persuaderò mai che la piaga sia risanata).