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270 ATTO PRIMO


sere entrato nell’affare di questo suo matrimonio; di aver colle mie parole accreditato in faccia del signor Filippo un uomo che non merita la sua figliuola.

Vittoria. Signor Fulgenzio, ella è un signore di garbo, le sono obbligata del panegirico che ci ha fatto, e della buona intenzione che ha di precipitar mio fratello.

Fulgenzio. Si è precipitato da sè. Io sono portato per far del bene; ma quando però il bene di uno non rechi danno o disonore ad un altro.

Vittoria. Se foste portato per far del bene, procurereste almeno di liberare ora la nostra casa da questi insolenti, che per poche monete mettono a repentaglio la nostra riputazione.

Fulgenzio. Fin qui ho potuto farlo, e l’ho fatto. In grazia mia si sono tutti partiti. Non ho fatto loro la sicurtà, perchè non sono sì pazzo; ma con delle buone parole mi è riuscito far che si partissero, e sospendessero quella risoluzione che avevano in animo di voler prendere. Ma, signora mia, se non possono essere pagati, non gl’insultate almeno, non dite loro insolenti. Quando vostro fratello ha avuto d’essi bisogno, li ha maltrattati, li ha insultati; oppure con carezze, con parole dolci, con buone grazie ha cercato blandirli, allettarli, per essere servito, e servito bene? Ed ora che vengono per la quinta, sesta o settima volta a chiedere le loro mercedi, e perdono le loro giornate per essere stentatamente pagati, il fratello s’asconde e la sorella gl’insulta? È una ingiustizia, è una ingratitudine, è una tirannia.

Vittoria. A me non serve che facciate di tai sermoni.

Fulgenzio. Sì, lo so benissimo. È un predicare a’ sordi.

Vittoria. Fateli a mio fratello, che ne ha più bisogno di me.

Fulgenzio. E dov’è egli vostro fratello?

Vittoria. É andato a far visita alla signora Giacinta.

Fulgenzio. Sono anch’eglino ritornati? Ho piacere....

Vittoria. Avvertite di non andar colà a far degli strepiti fuor di proposito.

Fulgenzio. Farò tutto quello che crederò dover fare.