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268 ATTO PRIMO

Cecco. (Parla assai bene la mia padrona. Ma anch’ella non opera come parla).

Vittoria. E dove è andato il signor Leonardo?

Cecco. A far visita alla signora Giacinta.

Vittoria. È ritornata?

Cecco. Sì, signora.

Vittoria. Quando?

Cecco. Questa mattina.

Vittoria. Ed a me non ha mandato a dir niente? (con isdegno)

Cecco. Sì, signora. Ha mandato il servitore coll’imbasciata per il padrone e per lei.

Vittoria. E perchè non dirmelo?

Cecco. Perdoni. Sono mezzo stordito. S’ella sapesse quanti imbrogli ci sono stati questa mattina.

Vittoria. Mi pareva impossibile che avesse trascurato di far con me il suo dovere.

Cecco. Sento dello strepito in sala. Con sua licenza.

Vittoria. Cacciate via quei bricconi.

Cecco. (Eh! già, ci s’intende. I poveri operai, quando domandano il sangue loro, sono tutti bricconi). (parte)

Vittoria. Converrà ch’io vada a farle una visita. Come ultima ritornata, converrà ch’io sia la prima a complimentarla. Vi anderò, ma vi anderò di malanimo. Non l’ho mai potuta soffrire; ma ora poi, dopo le coserelle che nate sono in villeggiatura, quando mi viene in mente, mi si rimescola tutto il sangue. Guglielmo non ha ancora voluto firmar la scritta. Pochissimo si lascia da me vedere; sono in una agitazione grandissima.

Cecco. Signora, è venuto il signor Fulgenzio. Ha domandato del padrone; gli ho detto che non c’è, ed ei lo vorrebbe aspettare. Se ella lo volesse ricevere....

Vittoria. Sì, sì, venga pure. Sono andati via coloro?

Cecco. Parlano col signor Fulgenzio. (parte)

Vittoria. Ho piacere di parlare con questo vecchio, che ci ha fatto perdere sul più bello il piacere della campagna.