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266 | ATTO PRIMO |
sette case, alle quali prima del mezzogiorno ha da partecipare L’arrivo loro.
Leonardo. Portami il cappello e la spada.
Cecco. Sì, signore. (parte)
Leonardo. Sono impazientissimo di riveder Giacinta. Chi sa qual accoglimento mi farà ella in Livorno, dopo le cose corse in campagna? Guglielmo tuttavia differisce a far la scritta con mia sorella. Sono in un mare d’agitazioni, e di più mi affliggono i debiti, mi tormentano i creditori.
Cecco. Eccola servita. (gli dà la spada e il cappello)
Leonardo. Guarda se c’è nessuno in sala, o per le scale, o in terreno.
Cecco. Sì, signore. (parie)
Leonardo. Ho sempre timore d’incontrar qualcheduno che mi faccia arrossire. Converrà, per andare dal signor Filippo, che allunghi la strada il doppio, per non passare dalle botteghe de’ creditori.
Cecco. Signore, vi sono due che l’aspettano.
Leonardo. M’aspettano? Sanno eglino ch’io ci sono?
Cecco. Lo sanno, perchè quello sciocco di Berto ha detto loro che c’è.
Leonardo. E chi sono costoro?
Cecco. Il sarto e il calzolaio.
Leonardo. Licenziali; fa che vadano via.
Cecco. E che cosa vuole ch’io loro dica?
Leonardo. Di’ tutto quello che vuoi.
Cecco. Non potrebbe dar loro qualche cosa a conto?
Leonardo. Mandali via, ti dico.
Cecco. Signore, è impossibile. Costoro me l’hanno fatta dell’altre volte. Sono capaci di star qui fino a sera.
Leonardo. Hai tu le chiavi della porticina segreta?
Cecco. Sono sulla porta, signore.
Leonardo. Bene; andrò per di là.
Cecco. Badi che la scala è oscura, è precipitosa.
Leonardo. Non importa; voglio andar via per di là.