Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
248 | ATTO QUINTO |
state in Londra; e se Milord l’aggradisce, porgetegli in questo punto la mano.
Lindana. Oh! vero affetto. Oh adorabile genitore!
Milord. Ah! Conte, ah! mio adorato suocero e padre. Voi non mi potete colmare di consolazione maggiore. Cara sposa, porgetemi la mano: voi siete la mia adorata consorte. (si porgono la mano.)
Milord. Signor Friport, lasciate a me il carico di ricuperare le cinquecento ghinee.
Friport. Sì, fatelo a comodo vostro. Me le farete avere al mio ritorno di Cadice: era sicuro di non le perdere; era certo dell’onestà di questa buona ragazza.
Lindana. Ah! signor Friport, quanto mai avete fatto per me.
Friport. Non parliamo altro. Ho fatto quello che ogni uomo onesto, quando può, è obbligato di fare. Amico, il vento è buono, l’ora è avanzata. Se volete venire, venite; se non volete venire, io parto. (al Conte)
Milord. Conte, partite di buon animo. Fra pochi giorni avrete a Cadice il favorevol rescritto.
Conte. Sì, Milord, in voi pienamente confido. Il poter vostro e la mia innocenza mi assicurano della grazia. Figlia, ci rivedremo fra poco.
Lindana. Sì, caro padre. La ilarità del ciglio con cui partite, e le belle speranze di rivedervi, mi fanno rimanere contenta al fianco del mio diletto consorte. Dopo sì lunghe pene gioisco per cotal modo, che l’allegrezza mi riempie il cuore e mi trabocca dagli occhi.
Fine della Commedia.