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246 ATTO QUINTO

Conte. Sì, figlia, tutto credo e tutto spero dalla vostra bontà. La sorte ci fa essere insieme; ma per separarci per sempre. Io sono vittima dell’altrui livore; son proscritto dal Parlamento, son condannato a morire. Sono in Londra, son discoperto; nè v’è speranza che mi lusinghi di sottrarmi dal mio supplizio. Ecco un nemico del sangue mio; ecco chi solleciterà la mia morte. (accennando Milord)

Milord. Conte, trattenete le vostre collere, ed ascoltatemi per un momento. Dispensatemi dall’ingiuriar la memoria del mio genitore, nè esaminiamo se abbia egli inteso di esercitar sopra di voi la giustizia, o siasi valso del suo potere per isfogare la sua inimicizia. Persuadetevi ch’io non ebbi parte nelle ire sue; e che lungi dal perpetuare lo sdegno, desidero di compensarvi colla più perfetta amicizia. Mio padre è morto. Negli ultimi periodi di vita si è ricordato di voi. Mi ha detto cose che lo indicavano intenerito dei vostri disastri, e mi ha lasciato fra le sue carte il modo di liberar voi dal bando, e i beni vostri dal fisco. Ho parlato ai ministri. Prendiamo tempo, e sperate; anzi siate certo di ogni vostro risarcimento, e impegno la mia parola d’onore. Ma oh dio! se l’odio vostro non è più costante di quello del mio genitore medesimo, calmate gli sdegni vostri. Amo la virtuosa vostra figliuola. Tollerate ch’io dica ch’ella non mi odia. Aspetta il vostro cenno per consolarmi; e quando la bontà vostra l’accordi, eccovi un amico che vi difende; eccovi un figlio che vi ama, e vi rispetta, e vi onora.

Friport. (Questa è la prima volta che mi pare di essere intenerito).

Lindana. Caro padre, l’ho amato non conoscendolo: l’odierò se mel comandate.

Conte. No, figlia, non sono sì barbaro, sì inumano. Se il cielo ha toccato il cuore a Milord negli ultimi suoi respiri di vita, non vo’ aspettare ad arrendermi ad un tal punto. Perdono alla memoria del padre, e mi abbandono all’onoratezza del figlio. Morrò tranquillo se vedrò almeno assicurata la vostra