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242 | ATTO QUARTO |
tura i disperati congiunti caricar di maledizioni il nodo, i consiglieri e gli amici? Noi, Miledi, noi ci troveremmo nel caso, se ad onta delle inclinazioni del cuore, se a dispetto di quell’amore che mi comanda, vi avessi porta la mano?1 Il cielo vi ama e vi protegge, allora quando vi credete più abbandonata. Questa eroica risoluzione che or vi tormenta, è quella stessa di un infermo che troncasi coraggiosamente una mano per non perdere la vita. Voi vi private d’un cuore che non sa amarvi, ed acquistate la libertà di farvi amare da chi più merita gli affetti vostri. Consolatevi adunque: vi concedano i numi sposo più degno, amor più felice, tranquillità più serena.
Miledi. Ah! Milord, il vostro ragionamento è artifizioso, è maligno. Meco non parlereste in tal guisa, se affascinato non foste dalle indegne fiamme di una femmina avventuriera.
Milord. Miledi, giudicate meglio di me e di quella ch’io amo. La sua condizione non mi può far arrossire. Ella non cede a veruna in nobiltà, e supera molte altre in virtù.
Miledi. Ho capito: altri rimproveri da voi non soffro. Godete della di lei bellezza; approfittate delle ammirabili sue virtù. Ma quanto è più virtuosa, se non cambiate costume, tanto meno la meritate. Per me vi lascio, vi abbandono per sempre. Sì, valerommi de’ vostri arguti concetti. Fui lungamente inferma nel cuore: saprò reciderne coraggiosa la parte infetta dal vostro amore; e superato il primo dolore, acquisterò col tempo la pace e la libertà. (parte)
Milord. Sian grazie ai numi. Vadasi subito a consolare Lindana con questo novello trionfo dell’amor mio. Ora posso offerirle un cuore libero da ogni catena. O donne amabili! O donne consolatrici! Pera chi vi rimprovera, chi v’insulta. L’una mi consola coll’amor suo; l’altra mi benefica col suo sdegno. (entra da Lindana)
Fine dell’Atto Quarto.
- ↑ Nelle edizioni del Settecento c’è il punto fermo.