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LA SCOZZESE 237


dirò tutto. Ma qui non istiamo bene: entriamo nella vostra camera.

Lindana. No; non sarà mai vero....

Fabrizio. Presto, presto: vien gente. Questa volta comando io. (la prende per una mano) (Conviene fare così in questi casi).

Lindana. Ah! sono avvilita; sono perduta. Salvatemi l’onor mio, e sagrificatemi qual più vi aggrada, (parte con Fabrizio. Tutti entrano nelle stanze di Lindana, e si chiude la porta.)

SCENA IX.

Il Conte solo.

Oimè! qual voce intesi? Qua! voce mi ha penetrato nel cuore? Parvemi quella della mia cara figlia. Ma qui non veggio nessuno; e qui mi parve d’averla udita. Oh! amor paterno. Tu fai sognare ad occhi veglianti; e non è strano che un’immagine vivamente impressa nell’animo alteri la fantasia e la riscaldi. Fra l’agitazione del sangue e la violenza del moto mi vacillano le ginocchia talmente, che non son sicuro di poter risalire le scale. La sala è libera; non c’è nessuno; vo’ prender fiato. (siede presso al tavolino)

SCENA X.

Friport, Servitori e il suddetto.

Friport. Portatemi il mio caffè, le mie tazze, il mio zucchero, che non voglio perdere il piacere che ho tralasciato. (al servitore, che porta.)

Conte. Oimè! vien gente. È l’amico Friport: manco male. (s’alza, poi torna a sedere)

Friport. Oh! amico, vi saluto. Ho piacere di vedervi.

Conte. Desiderava io pure sì buon incontro.

Friport. Siete voi contento di quest’albergo?

Conte. Dell’albergo son contentissimo; ma il clima di Londra mi par non mi conferisca.