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LA SCOZZESE | 233 |
Fabrizio. Io non son uomo da inventare artifizi; e se vi dicessi una cosa, vi farei tremare.
Marianna. Ditemela, per amor del cielo.
Fabrizio. Se potessi sperare che non lo diceste a Lindana....
Marianna. Non sapete chi sono? Non vedete con qual gelosia custodisco i segreti?
Fabrizio. Basta; non so che dire. Volea risparmiare a lei ed a voi una novella afflizione; ma veggendo ch’ella si confida in persona che potrebbe tradirla, son forzato a dire quel ch’è accaduto; e se vi pare, fate ch’ella lo sappia, che non mi preme. Poc’anzi è qua venuto un messo della Corte per arrestarla.
Marianna. Chi?
Fabrizio. La vostra padrona.
Marianna. E io?
Fabrizio. Può essere ancora voi.
Marianna. Povera me! possibile che quell’inumano ci abbia tradite? Ah! sì, non può esser altri. Egli solo sa chi è la padrona. Egli solo può aver interesse nella sua rovina. Ha ingannato me; ha ingannato la povera sfortunata.
Fabrizio. E chi è questi? Si può sapere?
Marianna. Sì, è quel perfido, è quell’ingrato di milord Murrai.
Fabrizio. Ah! che dite mai? Milord non è capace di un tradimento.
Marianna. Non può esser altri, vi dico. So io quel che parlo; non può esser altri; ed è necessario che la mia padrona lo sappia.
Fabrizio. No, sospendete. Assicuriamoci prima donde venga la indegna azione.
Marianna. E che? Vogliamo aspettare che vengano a prender lei e me, ed a condurci in prigione?
Fabrizio. Non vi è pericolo. Quel buon uomo del signor Friport è andato ora a farsi mallevadore per lei,
Marianna. E per me?
Fabrizio. Ci s’intende.