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226 | ATTO TERZO |
mio genitore. Sono ora padron di me stesso. Detesto il di lei carattere. Lo sa, gliel’ho detto; ne ho informato la Corte; ne ho prevenuto i parenti; ed ella si fonda invano sopra uno scritto, che sarà forzata di rendermi suo malgrado. Non oserei di offrirvi il cuore, se non fossi certo di potervelo offrire. Deh! serenatevi, credetemi, ed accettatelo con bontà.
Lindana. In qualunque stato che il vostro cuor si ritrovi, non isperate ch’io mi determini ad alcuna risoluzione. Rendetemi il padre mio, che mi è stato tolto dal vostro; ed allora ascolterò forse le vostre proposizioni.
Milord. Voglia il cielo che il vostro genitore ancor viva, e ch’io sia in grado di dimostrargli la stima ch’io faccio di lui, e l’amore che m’interessa per voi. Ma in ogni evento vi giuro perpetua fede, pronto a rinunziare alla dolce speranza di successione, se voi non siete quella che mi destinano i numi per mia compagnia.
Lindana. (Il sagrifizio è grande; ma non basta al cuor d’una figlia).
SCENA IX.
Marianna e detti.
Marianna. (Oh! oh! mi pare che le cose non vadano tanto male).
Lindana. Sei qui eh?
Marianna. Son qui, signora. (timorosa)
Lindana. Non hai confidato niente a Milord!
Marianna. Per carità, vi supplico, non mi mortificate d’avvantaggio; lo sono bastantemente, e sono così pentita....
Lindana. Permettetemi ch’io mi ritiri; ho necessità di riposo. (a Milord)
Milord. Servitevi. Calmate il vostro spirito; e vivete tranquilla sugl’impegni onorati dell’amor mio. (parie)
Lindana. (Oh amore che mi lusinga! Oh padre che mi rattrista! Oh barbaro mio destino non sazio ancora di tormentarmi!) (parte, e Marianna la segue)
Fine dell’Atto Terzo.