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218 ATTO TERZO


Conte. Siete voi il padrone di quest’albergo?

Fabrizio. Per obbedirvi, signore.

Conte. Mi ha detto il signor Friport, che qui da voi si sta bene; che avete delle comode stanze; che siete un albergatore onesto e discreto...

Fabrizio. Signore, io non faccio che il mio dovere. Ogni uomo ha obbligo di essere onesto e discreto.

Conte. Quei pochi giorni ch’io resto in Londra, desidero di albergare da voi.

Fabrizio. Spero, signore, che non resterete di me scontento. Qui potrete avere tutte le vostre comodità. Una camera propria; una buona tavola rotonda, se ciò vi aggrada; e libertà di mangiar solo, se più vi piace.

Conte. Non amo la compagnia. Mi farete preparare nella mia camera.

Fabrizio. Sarete servito.

Conte. E vorrei la camera disobbligata. Senza ricevere, e senza dar soggezione.

Fabrizio. Ho capito. Ehi! portatemi le chiavi della stanza al numero sei. (verso la scena)

Conte. Avete ora molte persone nel vostro albergo?

Fabrizio. Non c’è nessuno.

Conte. Tanto meglio.

Fabrizio. Non c’è che una sola giovane forestiera colla sua servente, che abita colà in quell’appartamento terreno.

Conte. E chi è questa forestiera?

Fabrizio. Non lo so, signore. Sta incognita, e non la conosco. Vi dico bene, che non avrete veduto la più bella, la più amabile e la più virtuosa donna nel mondo.

Conte. Non la vedrò, e non mi curo vederla.

Fabrizio. Veramente anch’ella vive ritiratissima, e non tratta, si può dir, con nessuno. Ma si potrebbe dare per accidente...

Conte. Sapete di che paese ella sia?

Fabrizio. Sì, signore, è scozzeze.

Conte. Scozzese? (con ammirazione)