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192 ATTO PRIMO


lato il carattere. Quando ho conosciuto la sua virtù, mi sono manifestato, e le ho domandato perdono.

Marianna. Eppure, non si è mai più da quella volta rasserenata, lo dubito che qualche ragion più forte la tenga oppressa.

Milord. Non saprei. Voi che le siete ognora dappresso, potreste qualche cosa indicarmi. Ma non vi è speranza di poter da voi saper nulla. Non avete mai voluto confidarmi chi ella è; e so che voi lo sapete.

Marianna. Perchè volete ch’io tradisca la mia padrona?

Milord. Chiamate voi tradimento svelare la sua condizione ad un uomo che può fare la sua fortuna? Io stimo peggio il tacere; poichè, s’è degna di me, voi potete darmi il coraggio per dichiararmi; se non merita le mie nozze, la mia amicizia la pregiudica, e non le fa onore.

Marianna. Voi parlate sì bene, che quasi quasi mi credo in necessità di confidarvi il segreto.

Milord. Via, fatelo, che ne resterete contenta.

Marianna. Se mi potessi fidare che non parlaste...

Milord. Io non credo di meritar da voi questo torto.

Marianna. Avete ragione. Faccio torto a voi, e alla padrona medesima, che per una rigorosa virtù vuol ridursi a morir di fame. Sappiate dunque, ch’ella è di una delle più illustri famiglie di Scozia. Suo padre è stato capitalmente bandito da tutto il Regno. Sua madre è morta dal dolore. Hanno confiscato tutti i suoi beni, ed ella per disperazione si è meco sola imbarcata, ed è qua venuta, non con animo di chtenersi, ma di proseguire il cammino. Non so poi, se la mancanza di danaro, o la vostra amicizia, le abbia fatto cangiar pensiere. So che siamo qui da tre mesi, che il primo si è passato assai bene, ed il restante malissimo.

Milord. Si può sapere il nome della famiglia?

Marianna. Vi dirò ancor questo; ma per amor del cielo!...

Milord. Non dubitate ch’io parli.

Marianna. Si tratta di tutto; si tratta della sua vita medesima.

Milord. Voi mi offendete.