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LA SCOZZESE 191

Marianna. Eh! la mia padrona non è sì sciocca.

Milord. Tenetevi il rimanente per voi.

Marianna. Ah! non posso farlo. (sospirando)

Milord. Non è necessario ch’ella lo sappia.

Marianna. Credetemi, se avessi questo danaro in tasca, mi troverei sì confusa, che la padrona se ne accorgerebbe senz’altro.

Milord. (Io non ho più trovato una padrona sì amabile ed una serva sì accostumata).

Marianna. (È una gran tentazione; ma convien resistere).

Milord. Tenete; datemi il resto di una ghinea.

Marianna. Il resto di una ghinea? Sono dei mesi che io non veggio la stampa delle monete.

Milord. Tenete la ghinea: mi darete il resto.

Marianna. Ma se non mi trovo...

Milord. Tenete, dico. La virtù, quando eccede, diventa vizio. (un poco alterato)

Marianna. Via, via, non andate in collera. La cambierò, e vi darò il restante. (prende la ghinea)

Milord. Non siate così rigorosa. (si pone in tasca il ricamo)

Marianna. Io non lo sarei veramente; ma la padrona mi obbliga, ed io non la vorrei disgustare.

Milord. Possibile ch’ella non voglia cercar la via di uscire di tali angustie?

Marianna. Io credo ch’ella lo farebbe, se fosse in caso di farlo.

Milord. Sa pure, ch’io ho della stima e dell’amore per lei.

Marianna. È vero; e o ch’ella ancora ha della stima per voi. Ma parevami che vi amasse più da principio, quando vi spacciaste per il cavaliere Sternold. Dopo che le confidaste di essere milord Murrai, la veggio inquietissima, e non vi nomina che sospirando.

Milord. Sì, allora quando mi scopersi per quel che sono, la vidi impallidire e tremare. Giudicai ch’ella in me condannasse la mia finzione; ma credo di avermi giustificato abbastanza. Una incognita, in un pubblico albergo, io non sapea se meritasse la mia confidenza. Ho voluto tenermi nascosto, finchè ho rive-