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188 | ATTO PRIMO |
Milord. No: ancora non ho potuto saper chi ella sia. Stava appunto presentemente per domandarvi, se vi è riuscito di penetrar qualche cosa.
Fabrizio. Io non so altro, se non ch’ella è scozzese, e che si chiama Lindana; per altro non so nemmeno se sia fanciulla, o vedova, o maritata.
Milord. Per quel che ho potuto raccogliere, ella non ha marito.
Fabrizio. E come mai una figlia nubile si trova sola in una città capitale, ed in un pubblico albergo?
Milord. Io ne sono all’oscuro al pari di voi. Vi confesso ch’io l’amo, e che se la sua condizione fosse eguale alla sua bellezza e alla sua virtù, non tarderei un momento ad offrirle la mano di sposo.
Fabrizio. Scusatemi; non siete voi impegnato con miledi Alton?
Milord. Sì, miledi Alton mi fu destinata in isposa dal mio genitore. Egli è morto. Ho scoperto in lei un carattere che mi dispiace: è altiera, vana, orgogliosa. S’io mi legassi con lei, pochissimo durerebbe la nostra unione. Gliel’ho detto liberamente, e può essere certa, che pria di legarmi seco, mi eleggerei di vivere come sono.
Fabrizio. Vi compatisco. Non vi è cosa peggiore al mondo d’un matrimonio discorde.
Milord. Ah! Lindana mi potrebbe render felice.
Fabrizio. All’aspetto, al costume, al modo suo di parlare mostra di esser nata bene.
Milord. Così credo ancor io.
Fabrizio. Aggiungete ch’ella è povera, e fa ogni sforzo per nascondere la sua povertà.
Milord. Somministratele quanto occorre. Supplirò io ad ogni cosa.
Fabrizio. Non vi è caso, signore: ella non vuol ricevere cosa alcuna senza il pagamento; e piuttosto si contenta patire.
Milord. Una simile delicatezza non appartiene che a un sangue nobile. No, non conviene farla arrossire; dissimuliamo per ora le sue indigenze.
Fabrizio. Veggo aprire la camera.