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Vittoria e Giacinta. Questa volta Vittoria è alle prese con Costanza. Alla dispettosa gara assiste e aggiunge legna al fuoco Ferdinando. Son le «liti — scevera con l’ordinaria acutezza lo stesso Momigliano — di borghesi elevate che cominciano con un a parte velenoso, continuano con reticenze, mutan discorso, tornano al punto che le tormenta, fan come un temporale che brontola a lunghi intervalli, poi scoppia, e in fine colle loro parole sembrano schiaffeggiarsi mantenendo la posa dignitosa della persona — tanto meglio se c’è tra loro qualche ozioso che si diverte ad aizzarle» (studio cit., p. 18).

«Il n’y a presque rien de bien intéressant dans le premier acte» dicono le Memorie (ediz. cit., vol. Il, p. 59). Infatti: quadretti e discorsi destinati a lumeggiar l’ambiente, null’altro. Più tardi s’aggiungono ancora, ben animate, una grande scena di gioco, un’altra che raccoglie tutti i villeggianti al caffè, e di nuovo maldicenze e tresche di camerieri e cameriere. Ma qualcosa che con un filo pur esile legasse un episodio all’altro appariva necessario. Poichè il condimento dolce-amaro d’ogni piacere della villeggiatura — la tavola, il faraone, la corsa in vettura — era l’amore, ciò che tiene un po’ unite le disiecta membra è, senza uscir punto dal soggetto, un romanzetto sentimentale.

Nel breve intervallo che corre dalle Smanie alle Avventure Giacinta s’innamora. La cosa, naturalissima in ogni altra ragazza, in lei ci sorprende un poco. Non era parsa nella prima commedia fanciulla di teneri sensi, ma solo abile e fredda ragionatrice. Si fa sposa nient’altro che per uscir di soggezione. Tanto più caro sarebbe stato veder nascere questo miracoloso amore. Ma troppo vuole il critico pedante. Amore nasce ed è già grande e vola! L’adoperarsi ch’ella fa onde Guglielmo s’accompagni a loro in viaggio e in villeggiatura non è che un puntiglio per istuzzicare e castigare la gelosia di Leonardo? Così crede ella stessa e della nuova passione accagiona solo la convivenza. Ma forse nel desiderio di pungere si celava già allora — o imperscrutabile cuore di donna! — l’affetto nascente . . . Eppure a noi la Giacinta energica, scaltra, che sa e può ciò che vuole, è artisticamente più cara, perchè più viva, più spontanea. Aveva gran pratica Papà Goldoni nell’abbozzare simili figure femminili e ci godeva un mondo a crearle. Non che la nuova Giacinta manchi di grazia nel linguaggio e negli atteggiamenti. Il disegno di tutti e due gli innamorati tradisce finezza di tocco. Guglielmo appare davvero un Florindo che si stacca netto dai soliti, pur da quelli innamorati sul serio. E vi hanno scene d’amore, schizzate con delicatissimo pennello. Bellissima la prima (II 7) e bene avviata l’altra (III 3), se non che desinit in piscem . . . finisce troppo presto in una delle interminabili parlate di Giacinta.

Nello stendere la seconda commedia sembrò utile al Goldoni per il nuovo intreccio modificare il carattere di Giacinta. Con un po’ di sforzo si riesce a capire la repentina passione; si può giustificare ancora il sacrificio consigliato da scrupoli di coscienza e da un contratto legalmente steso, come allora usava. Meno s’intende però l’obbligo da lei fatto a Guglielmo di sposare Vittoria. È vero che i personaggi del Goldoni, presi dal tic dell’abnegazione, usano eccedere e già più d’una coppia male assortita tirò seco altre nel proprio inferno.

Della fortuna che a Giacinta, figura reale, sarebbe mancata nella vita, non le è avara la critica. In essa gli studiosi scorgono una nuova prova come il Goldoni sapesse penetrare nella psiche femminile ben più addentro della su-