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LE AVVENTURE DELLA VILLEGGIATURA 169


Ferdinando. Tenga, che gliene faccio un presente.

Sabina. Cosa mi date?

Ferdinando. Una scritta di matrimonio.

Sabina. È per me forse?

Ferdinando. Veramente non è per lei. Perchè nella sua ci ha da essere la donazione.

Sabina. Orsù, questa è un’insolenza, e ne sono stufa. Avete avuto abbastanza, e vi dovreste contentare così. Ingrato, tigna, avaraccio. (parte)

Ferdinando. La vecchia è in collera. La donazione è in fumo, e la commedia per me è finita. (parte)

Costanza. Signora Giacinta, le vogliamo levar l’incomodo.

Giacinta. Vogliono andar via?

Filippo. Non vogliono far da noi la partita?

Costanza. Ho premura d’andar a casa.

Giacinta. S’accomodi, come comanda.

Costanza.(Andiamo, giacchè Tognino è disposto, non ce lo lasciamo scappare). (a Rosina)

Rosina. Serva umilissima. Compatisca. (a Giacinta, e parte)

Tognino. Servo suo. Compatisca. (a Giacinta, e parte)

Filippo. Andiamo, che vi voglio servire a casa. (a Costanza)

Costanza. Mi farà finezza. (Già di questo vecchio non ci prendiam soggezione). (parte)

Filippo. (Se non c’è altro, giocherò due partite a bazzica con quel baggiano). (parte)

Giacinta. Lode al cielo, son sola. Posso liberamente sfogare la mia passione, e confessando la mia debolezza... Signori miei gentilissimi, qui il poeta con tutto lo sforzo della fantasia aveva preparata una lunga disperazione, un combattimento di affetti, un misto d’eroismo e di tenerezza. Ho creduto bene di ommetterla per non attediarvi di più. Figuratevi qual esser puote una donna che sente gli stimoli dell’onore, ed è afflitta dalla più crudele passione. Immaginatevi sentirla a rimproverare se stessa per non aver custodito il cuore come doveva; indi a scusarsi coll’accidente, coll’occasione e colla sua diletta villeg-