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152 | ATTO TERZO |
Guglielmo. (Ah! è inevitabile il precipizio).
Giacinta. (Si tratta dell’onore. Vi vuol coraggio). (da sè) Gli affari ch’io tratto con esso lui, dovrebbero interessar voi più di me. L’onore che ho di essere vostra sposa, rende mie proprie le convenienze della vostra famiglia. Parlasi per Montenero, che siano corse parole di qualche impegno fra lui e la signora Vittoria. So che ella se ne lusinga, e in pubblico ha dimostrata la sua passione. Cose son queste delicatissime, dalle quali può dipendere il buon concetto di una fanciulla. Io non sapeva precisamente di qual animo fosse il signor Guglielmo. Ho cercato di assicurarmene, ed ecco ciò che ne ho ricavato. Ei sa benissimo, che un uomo d’onore non dee abusarsi della debolezza di un’onesta fanciulla. Conosce il proprio dovere, fa quella stima di lei che merita la vostra casa, e se voi gliela concedete, col mezzo mio ve la domanda in isposa.
Guglielmo. (Misero me! in qual impegno mi trovo!)
Leonardo. Me la domanda col mezzo vostro? (a Giacinta)
Giacinta. Sì, signore, col mezzo mio.
Leonardo. Non v’erano altri nel mondo, se non si prevaleva di voi?
Giacinta. Io sono quella che gli ha parlato. Sa il signor Guglielmo quel che gli ho detto. Le mie parole deggiono aver fatta impressione in un uomo d’onore, in un cuore onesto e civile; ed è ben giusto che io medesima compisca un’opera, che non può essere che applaudita.
Leonardo. Che dice il signor Guglielmo?
Guglielmo. (Ceda la passione al dovere). Sì, amico, se non isdegnate accordarmela, vi chiedo la sorella vostra in consorte.
Giacinta. (Ah! la sinderesi lo ha convinto).
Leonardo. Signore, questa sera vi darò la risposta. (a Guglielmo)
Giacinta. Che difficoltà avete voi di accordargliela presentemente?
Leonardo. È giusto ch’io parli con mia sorella.
Giacinta. Ella non può essere che contenta.
Leonardo. Andiamo, signora, ci aspettano per andare al passeggio. (a Giacinta)