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136 ATTO SECONDO


SCENA IX.

Leonardo e Vittoria, servita di braccio da Guglielmo,
e detti. Tutti s’alzano.

Giacinta. Serva, signora Vittoria. (incontrandola)

Vittoria. Serva, la mia cara signora Giacinta. (si baciano)

Leonardo. Scusate, vi prego, signora Giacinta, se ho tardato più del solito questa mattina a venire a vedervi. Ho dovuto far delle visite, ho avuto degli altri affari domestici, che mi hanno tenuto occupato. Spero che compatirete la mia mancanza, ne mi vorrete perciò incolpare di trascuratezza, o di poco amore.

Giacinta. Io non credo che mi abbiate mai conosciuta indiscreta. Quando venite, mi fate grazia; quando non potete, io non vi obbligo di venire.

Leonardo. (Non so s’io l’abbia da credere discretezza, o poca curanza).

Giacinta. Favoriscano d’accomodarsi. (Costanza, Rosina e Tognino siedono ai loro posti) Signor Guglielmo, favorisca presso la signora Vittoria.

Guglielmo. Come comanda. (siede presso a Vittoria, Giacinta presso Guglielmo, e Leonardo presso Giacinta.

Vittoria. Questa mattina non si è degnato di favorirmi il signor Guglielmo.

Guglielmo. in verità, signora, non ho potuto.

Vittoria. So pure, che siete stato tutta la mattina in casa.

Guglielmo. È verissimo, sì signora, ho avuto da scrivere delle lettere di premura.

Vittoria. C’era anche da noi il calamaio e la carta.

Guglielmo. Non mi sarei presa una simile libertà.

Vittoria. Sì, sì, carino, ho capito. (sdegnosa)

Giacinta. Signora Vittoria, non bisogna essere sì puntigliosa.

Leonardo. Imparate dalla signora Giacinta. Ella è compiacentissima. Non tormenta mai per iscarsezza di visite.

Giacinta. Io non credo che vi siano degli uomini, a’ quali piacciano le seccature.