Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/144

134 ATTO SECONDO


Giacinta. E la signora Rosina?

Rosina. Per obbedirla.

Giacinta. E il signor Tognino?

Tognino. Oh! io non so giocare che a bazzica.

Giacinta. Gioca a bazzica la signora Rosina?

Rosina. Perchè vuol ella ch’io giochi a bazzica?

Giacinta. Non saprei. Vorrei fare il mio debito. Non vorrei dispiacere a nessuno; s’ella volesse far la partita col signor Tognino...

Rosina. Oh! non vi è questo bisogno, signora.

Costanza. Via, la signora Giacinta è una signora compita, e fra di noi c’intendiamo. Ma il signor Tognino, che giochi o che non giochi, non preme; starà a veder a giocare all’ombre, imparerà: starà a veder la Rosina.

Giacinta. Ella sa meglio di me, signora Costanza, l’attenzion che ci vuole nel distribuir le partite.

Costanza. Oh! lo so, per esperienza. Lo so che si procura di unire quelle persone, che non istanno insieme mal volentieri. Anch’io ho tutta l’attenzione per questo; ma quel che mi fa disperare si è, che qualche volta vi è fra di loro qualche grossezza, o per gelosia, o per puntiglio, e s’ingrugnano, senza che si sappia il perchè: a chi duole il capo, a chi duole lo stomaco, e si dura fatica a mettere insieme due tavolini. Verrà una per esempio, e dirà: ehi, questa sera vorrei far la partita col tale. Verrà un’altra: ehi, avvertite, non mi mettete a tavolino col tale e colla tale, che non mi ci voglio trovare. Pazienza anche, se lo dicessero sempre. Il peggio si è, che qualche volta pretendono che s’indovini. Ci vuole un’attenzione grandissima: pensare alle amicizie e alle inimicizie. Cercare di equilibrar le partite fra chi sa giocare. Scegliere quel tal gioco, che piace meglio a quei tali. Dividere chi va via presto, e chi va via tardi, e qualche volta procurar di mettere la moglie in una camera, ed il marito nell’altra.

Giacinta. Vero, vero; lo provo ancor io: sono cose vere. Sento una carrozza, mi pare. Sarà la signora Vittoria e il signor