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132 ATTO SECONDO


Giacinta. Se è cosa da dirsi, ditela.

Guglielmo. So il mio dovere, non temete ch’io ecceda, e che mi abusi della vostra bontà. Dirovvi solamente ch’io vi amo; ma che se l’amor mio potesse recare il menomo pregiudizio o agli interessi vostri, o alla vostra pace, son pronto a sagrificarmi in qualunque modo vi aggrada.

Giacinta. (Chi può rispondere ad una proposizione si generosa?)

Guglielmo. Ho detto io cosa tale, che non meriti da voi risposta?

Giacinta. Una fanciulla impegnata con altri non dee rispondere ad un tale ragionamento.

Guglielmo. Anzi una fanciulla impegnata può rispondere, e deve rispondere liberamente.

Giacinta. Sento gente, mi pare.

Guglielmo. Sì, ecco visite. Rispondetemi in due parole.

Giacinta. È la signora Costanza con sua nipote.

Guglielmo. Vi sarò tanto importuno, fino che mi dovrete rispondere.

Giacinta. (Sono così confusa, che non so come ricevere queste donne. Converrà ch’io mi sforzi per non mi dar a conoscere).

SCENA Viii.

Costanza, Rosina, Tognino e detti.

Guglielmo. (Sì ritira da una parte.)

Costanza. Serva, signora Giacinta.

Giacinta. Serva sua, signora Costanza.

Rosina. Serva divota.

Giacinta. Serva, signora Rosina.

Tognino. Servitor suo.

Giacinta. Signor Tognino, la riverisco.

Costanza. Siamo qui a darle incomodo.

Giacinta. Anzi a favorirci; mi dispiace che saranno venute a star male.

Costanza. Oh! cosa dice? Non è la prima volta ch’io abbia ricevute le sue finezze.