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LE AVVENTURE DELLA VILLEGGIATURA 129


Sabina. Sono padrona io.

Ferdinando. Che vuol dire, non avreste difficoltà a farmi una piccola donazione.

Sabina. Donazione? A me si domanda una donazione? Sono io in tale stato da non potermi maritare senza una donazione?

Ferdinando. Ma non avete detto, che un giorno la vostra dote può essere cosa mia?

Sabina. Sì, dopo la mia morte.

Ferdinando. Farlo prima, o farlo dopo, non è lo stesso?

Sabina. E se ci nascono dei figliuoli?

Ferdinando. (Oh vecchia pazza! Ha ancora speranza di far figliuoli).

Sabina. Ditemi un poco, signorino, è questo il bene che mi volete senza interesse?

Ferdinando. Io non parlo per interesse. Parlo, perchè se fossi padrone di questo danaro, potrei mettere un negozietto a Livorno, e farmelo fruttare il doppio, e star bene io, e fare star bene benissimo la mia cara consorte.

Sabina. No, disgraziato, tu non mi vuoi bene. (piange)

Ferdinando. Cospetto! se non credete ch’io vi ami, farò delle bestialità, mi darò alla disperazione.

Sabina. No, caro, no, non ti disperare, ti credo: che tu sia benedetto!

Ferdinando. Ho un amore per voi così grande, che non lo posso soffrire.

Sabina. Sì, ti credo, ma non mi parlare di donazione. Non ti basta ch’io t’abbia donato il cuore?

Ferdinando. (Eh! col tempo può essere che ci caschi).

SCENA VI.

Filippo e detti.

Filippo. E così, signor Ferdinando, volete ora che facciamo quattro partite a picchetto?

Sabina. Cosa ci venite voi a seccare col vostro picchetto?