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110 ATTO PRIMO


Servitore. Sì, signore, ma ora non ce n’è più.

Filippo. Mia figlia non l’ha bevuta, mia sorella non l’ha bevuta, il signor Guglielmo non l’ha bevuta; dove è andata la cioccolata?

Servitore. Io non so altro, signore; so che nella cioccolatiera non ce n’è più.

Filippo. Bene, se non ce n’è più, toccherà a me a star senza. Oh! a queste cose già sono avvezzo.

Ferdinando. È buona. Veramente la vostra cioccolata è perfetta.

Filippo. Procuro di farla fare senza risparmio.

Ferdinando. Con permissione. Vado a far quattro passi.

Filippo. Venite qua; giochiamo due partite a picchetto.

Ferdinando. A quest’ora?

Filippo. Sì, ora che non c’è nessuno; se aspetto l’ora della conversazione, si mettono a tagliare, fanno le loro partite, ed io non trovo un can che mi guardi.

Ferdinando. Caro signor Filippo, io ora non ho volontà di giocare.

Filippo. Due partite, per compiacenza.

Ferdinando. Scusatemi, ho bisogno di camminare; più tardi, più tardi, giocheremo più al tardi. (Figurarsi s’io voglio star lì a giocare due soldi la partita con questo vecchio). (parte)

Filippo. Se lo dico! nessuno mi bada. Tutti si divertono alle mie spalle, ed io, se vorrò divertirmi, mi converrà andare alla spezieria a giocare a dama collo speziale. Oh! mi ha parlato pur bene il signor Fulgenzio. Basta; anche per quest’anno ci sono. Se marito la mia figliuola, vo’ appigionare la casa e la possessione, e non voglio altra villeggiatura. Ma io, se non villeggio, ci patisco. Se non ho compagnia, son morto. Non so che dire. Sono avvezzato così. Il mio non ha da essere mio; me l’hanno da divorare; e la minor parte ha da esser sempre la mia. (parte)