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Riassumiamo la parte del Dépit che più ricorda gl’Innamorati. Eraste si confida al suo domestico Gros-René. Ama Lucile, ma per quante prove abbia d’esser corrisposto, geloso di Valerio, diffida. Meglio che gli argomenti del suo servitore, vale a dissipare i suoi dubbi un tenero biglietto della fanciulla. Per poco. Ecco che Mascarille, abilmente interrogato da Eraste e da Gros-René, palesa la storiella dell’incontro notturno. Allora il giovine, esasperato, a un invito che Marmette gli fa perchè si rechi da Lucile, risponde con lo stracciare la lettera, che poco innanzi l’avea colmato di gioia. L’atto accompagnano queste parole:

          «Va, sors de ma présence; et dis à ta maitresse
          Qu’ avec ses écrits elle me laisse en paix.
          Et que voilà l’état, infame! que j’ en fais».
           (I. 6)

Così fa Eugenia della lettera scritta per lei da Flaminia, quando, tirato in lingua Tognino, viene a sapere delle cure che Fulgenzio dedica alla cognata, e dà quest’incarico al servitore:

«Dite al vostro padrone che mia sorella Flaminia in nome mio gli ha scritto una bella lettera e che io medesima colle mie mani l’ho lacerata» (I 4).

Lucile, offesa dal procedere del giovine, pensa di accettare le offerte di Valerio, come per un istante pure Eugenia aderisce alla richiesta del conte, ma si pentono presto tutte due del passo inconsiderato e tornano senza indugio ai loro amanti. Nello spostamento e sostituzione di personaggi, avvenuta da commedia a commedia, le parole che adopera Gros-René per guarire il padrone dei suoi dubbi,

          «Lucile, à mon avis, vous montre assez d’amour;
          Elle vous voit, vous parie à toute heure du jour...»

sono messe in bocca a Flaminia:

«Egli è innamorato di voi perdutamente; si vede, si conosce che spasima, che vi adora...» (I. I).

Alla disperazione d’Eraste, ch’è quasi una preghiera, nello staccarsi da Lucile

          «Non, non; cherchez partout, vous n’en aurez jamais
          De si passionne pour vous, je vous promets.
          Mais personne, apres moi, quoiqu’on vous fasse entendre,
          N’aura jamais pour vous de passion si tendre»
           (IV. 3)

fanno eco parole simili d Eugenia:

«Troverete un amante di me più amabile, più ricca, più meritevole, ma non più tenera nè più fedele».

Altre minuzie ancora si potrebbero spigolare, ma se la filologia spicciola riesce a scorgere le fila rare e sottili che debolmente legano le due commedie (cfr. specialmente la laboriosa analisi di F. Baumann (Über das Abhängigkeitsverhältnis Alberto Notas con Molière und Goldoni, Romanische Forschungen, XXV, pp. 444 segg.), da noi in parte seguita), in verità chi senza prevenzioni comparatistiche le legga avverte un tale distacco nella favola, nelle figure, nel linguaggio e nell’intonazione da non pensare a rapporti di dipen-