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GL'INNAMORATI | 83 |
Flamminia. Ma via, dico. (a Fulgenzio)
Eugenia. Sì, insultatemi, che mi si conviene. Conosco l’amor grande, che per me avete; so di non meritarlo. Usatemi carità, se vi aggrada; siatemi rigoroso, se il vostro cuor lo comporta; in ogni guisa mi duole d’avervi offeso, e vi domando perdono.
Fulgenzio. Ah non più, idolo mio.
Eugenia. Sì, perdonatemi.
Flamminia. O che sian benedetti.
Lisetta. Mi fanno piangere.
SCENA XIV.
Fabrizio e detti.
Fabrizio. Cosa fa qui questo temerario?
Flamminia. Abbiate pazienza, signore. Questi ha da essere lo sposo di mia sorella.
Fabrizio. Non è degno d’imparentarsi con me.
Flamminia. Sentite. La sposerà senza dote.
Fabrizio. Senza dote? (a Flamminia)
Flamminia. Sì, signore.
Fabrizio. La prendete voi senza dote? (a Fulgenzio)
Fulgenzio. Non ci ho veruna difficoltà.
Fabrizio. Caro nipote, il cielo vi benedica. (l’abbraccia)
SCENA ULTIMA.
Roberto, Ridolfo e detti.
Ridolfo. Ecco qui il signor Conte, il quale persuaso dalle mie ragioni, si contenterà che il signor Fabrizio gli faccia una semplice scusa.
Fabrizio. Scusatemi, signor Conte. Il cielo ha voluto così. Mia nipote merita molto, e la fortuna le ha concesso in isposo il re de’ galantuomini, il più bravo giovane di questo mondo, il più saggio, il più dotto, il più nobile cittadino di Milano.