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82 | ATTO TERZO |
SCENA XIII.
Flamminia, Lisetta e detti.
Flamminia. Che cos’è?
Lisetta. Cos’è stato?
Fulgenzio. Soccorretela.
Flamminia. Sorella.
Lisetta. Signora padrona. (l’alzano, e la rimettono sulla sedia)
Fulgenzio. (Ah! se non mi amasse... Ma oh cieli! potrebbe fingere? E perchè fingere, se non mi amasse?)
Lisetta. Via, via, è rinvenuta.
Flamminia. Ah, sorella mia, ve l’ho detto. Siete nemica di voi medesima.
Eugenia. Deh lasciate ch’io mora.
Fulgenzio. Ah no, vivete; il cielo mi vuol infelice. Pazienza. Vi amerò da lontano, benchè mia non sarete.
Flamminia. E perchè non ha da esser vostra? (a Fulgenzio)
Fulgenzio. Perchè ad altri si abbandonò per vendetta.
Flamminia. Volete dire, perchè ha dato parola al conte Roberto? (a Fulgenzio)
Fulgenzio. Ah sì, fortunatissimo Conte.
Flamminia. Fortunato voi vi potete chiamare, che aveste me in aiuto; fortunata Eugenia, che ha una sorella che l’ama. Il Conte fu da me illuminato. Seppe che lo faceva per astio, per capriccio, per disperazione. Non è sì pazzo a volersi nutrire una serpe nel seno; e lascia in libertà la fanciulla.
Eugenia. Oimè, dite il vero? (alzandosi con tenerezza a Flamminia)
Flamminia. Così è, sorella, Fulgenzio è vostro.
Eugenia. No, che non sarà mio.
Fulgenzio. Perchè no, crudele?
Eugenia. Perchè non lo merito.
Fulgenzio. Lo conoscete il torto che mi faceste?
Flamminia. Via, non parlate altro. (a Fulgenzio)
Eugenia. Lasciatelo dir, che ha ragione. (a Flamminia, con tenerezza)
Fulgenzio. Abbandonarmi per così poco! (ad Eugenia)