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78 | ATTO TERZO |
Eugenia. Signore, non vi ricordate voi d’averlo lodato?
Fabrizio. Che lodare! che lodare! io non fo conto di quella sorta di gente. In casa mia non ci verrà più. E se voi ardirete di amarlo...
Eugenia. Acchetatevi, che già è finita. Fulgenzio è da me licenziato.
Fabrizio. Oh brava! sente, signor Conte? Queste si chiamano donne. Questo è pensar giusto, pensar con prudenza.
Roberto. Signora Eugenia, sarebbe per avventura venuto il caso?
Eugenia. (Ah, una vendetta sarebbe pure opportuna).
Fabrizio. Via, risolvete. In un momento potete diventare una gran dama, una gran signora, una principessa.
Roberto. Non tanto, signora. Ma uno stato comodo non vi mancherà. (ad Eugenia)
Eugenia. (Quand’è fatta, è fatta. Può essere che quell’ingrato frema, e si disperi, e si penta, quando mi avrà perduta).
Fabrizio. Via. Cuor mio, risolvete. (ad Eugenia)
Eugenia. Signore, disponete di me. (a Fabrizio)
Fabrizio. Oh bocca d’oro! l’avete sentita? (al Conte)
Roberto. Tocca a voi a terminare di consolarmi. (a Fabrizio)
Fabrizio. Per me ve l’accordo subito, in questo momento.
Roberto. Signore, vostra nipote vale un tesoro; ma le convenienze della mia casa esigono qualche dote. (piano a Fabrizio)
Fabrizio. (Dote!) (a Roberto, con maraviglia)
Roberto. La volete maritar senza dote?
Fabrizio. (Ho sempre che fare con degli spiantati).
Eugenia. Signore, la mia dote ci deve essere. Me l’ha lasciata mio padre, e mio zio non la può negare.
Fabrizio. Bisogna vedere, se il signor Conte la può assicurare.
Eugenia. Un cavalier così ricco? (a Fabrizio)
Fabrizio. Ricco! ricco! che so io, se sia ricco?
Roberto. Fareste meglio, signore, a esaltar meno le persone non conosciute, e a risparmiare gl’insulti ai cavalieri onorati. Voi mi avete promesso vostra nipote; ella v’ha acconsentito. Penserò io a farmi render giustizia. (parte)