Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/78

70 ATTO TERZO

Eugenia. Ora sono nelle ore pessime. Lasciatemi stare, (come sopra).

Flamminia. Nostro zio è fuori di sè.

Eugenia. Che gli ho fatto io?

Flamminia. Che cosa avete fatto alla signora Clorinda?

Eugenia. Già tutti proteggono quella gran dama. Io sono il cane del macellaio: ossa, e busse.

Flamminia. Dovevate portar rispetto al padrone di casa, che l’ha invitata.

Eugenia. Ma che cosa le ho fatto?

Flamminia. Che lo so io? È venuta a tavola colle lagrime agli occhi.

Eugenia. Oh! sapete perchè è venuta colle lagrime agli occhi? Perchè ha trovato qui suo cognato.

Flamminia. Io so che si è doluta molto di lui, e dice che le ha perduto il rispetto.

Eugenia. Sì, ha ragione; pretende che non si parta da lei, che stia seco a pranzo, a farle fresco su la minestra, se scotta, e se non la fa, dice che le perde il rispetto.

Flamminia. Questa finalmente è una cosa che dee durar poco.

Eugenia. Come poco?

Flamminia. Se vien suo consorte, il signor Fulgenzio ha finito.

Eugenia. E quando verrà questo suo consorte?

Flamminia. Ho inteso dire, che l’aspettano oggi.

Eugenia. Oggi? (un poco placata)

Flamminia. Così disse la signora Clorinda.

Eugenia. Eh sì! se tornerà suo marito, non seguiteranno a convivere insieme? (alterata)

Flamminia. Può esser di no. Se il signor Fulgenzio vi sposa, non sarà cosa illecita, che lo preghiate di metter casa da sè.

Eugenia. La metterebbe poi? (placata)

Flamminia. Son persuasa di sì. Sapete che non vi sa negar cosa alcuna.

Eugenia. Guardate la bella premura che ha di me. Si move per venirmi a vedere? Sa staccarsi un momento dalla cognata?

Flamminia. Eccolo, eccolo, ch’egli viene.