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GL'INNAMORATI | 53 |
Eugenia. (Che diavolo vorrà dire?)
Fulgenzio. Io non son degno dei comandi della signora Eugenia.
Fabrizio. Via, che occorre? Ci conosciamo. Eugenia mia nipote vi prega, vi supplica, che subito andiate a casa, che prendiate la signora Clorinda vostra cognata, e che la conduciate qui a pranzo con noi.
Fulgenzio. La signora Eugenia mi prega di questo?
Eugenia. Io non mi sono mai sognata questa bestialità.
Fabrizio. Bestialità la chiamate?
Eugenia. Sì, vi par cosa propria incomodar una signora a quest’ora?
Fabrizio. È ora incomoda questa? Vi mancano due ore a mezzo giorno. Ha tempo quanto vuole, a vestirsi, a conciarsi, e a venire a bell’agio.
Flamminia. (Pare che c’entri il diavolo a bella posta).
Eugenia. Basta, io lascio fare al signor Fulgenzio.
Fabrizio. Pregatelo. (ad Eugenia)
Eugenia. Oh, questo poi no.
Fabrizio. Lo prego io dunque. (a Fulgenzio)
Fulgenzio. Dispensatemi. Son certo che mia cognata non ci verrà.
Eugenia. (È certo che non verrà; perchè sa che colei non mi può vedere).
Fabrizio. Proviamo, andate a dirglielo in nome mio.
Fulgenzio. No certo, signore. Scusatemi, non ci vado.
Fabrizio. E volete che stia a mangiar sola? Non è dovere.
Fulgenzio. Piuttosto non ci resterò nè men io.
Eugenia. Sì, piuttosto andrà con lei, a servirla di compagnia; lasciatelo andare.
Fulgenzio. (Se non crepo, è un prodigio).
Flamminia. (Ma giusto cielo! che testa è quella?)
Fabrizio. Orsù, non occorre altro. (So io quel che farò. Anderò io a invitarla). Succianespole.