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52 | ATTO SECONDO |
Fabrizio. Via, dico.
Fulgenzio. Non posso.
Fabrizio. Ed io voglio. Comando io in questa casa... No, non comando io, comanda il padrone, e il padrone lo pregherà di restare.
Roberto. Signore, s’egli non può, o non vuole, perchè lo vogliamo obbligare? (a Fabrizio)
Fulgenzio. (Costui non vorrebbe che ci restassi; converrà ch’io ci stia per discoprire il disegno).
Eugenia. (Stupisco, che non abbia piacere di restar a pranzo con me. Ci pensa poco, al vedere). (da sè)
Fabrizio. Via, signor Fulgenzio, faccia un’azione eroica.
Fulgenzio. (Mi fa specie, che Eugenia non mi dice niente ch’io resti. Segno che non le preme). (Ja sè)
Flamminia. Mi maraviglio di voi, signor Fulgenzio, che vi fate tanto pregare.
Fulgenzio. Mi farei pregar meno, se non temessi di recar disturbo alla compagnia.
Eugenia. Che ragioni fiacche! dite che non volete restare, perchè vi preme di andare a casa, per non lasciar sola la signora Clorinda vostra cognata. Ecco il perchè. Ha ragione, signor zio. Non l’obbligate a dar un dispiacere a quella povera signorina.
Fulgenzio. (Sì: vuol rimproverar me, perch’io non abbia occasione di rimproverar lei). (da sè)
Eugenia. (Ora mangia il veleno. Lo conosco. Ci ho gusto).
Flamminia. (Se fosse mia figlia, le darei degli schiaffi).
Fabrizio. Via, signor Fulgenzio, mi lasci andare in cucina, mi consoli con un bel sì.
Fulgenzio. Per far vedere che qualcheduno s’inganna, resterò a godere le vostre grazie.
Fabrizio. Oh bravo!
Eugenia. (Ora sono contenta). (da sè)
Flamminia. E viva il signor Fulgenzio.
Fabrizio. Ma facciamo le cose ben fatte. Signor Fulgenzio, Eugenia mia nipote vi supplica di una grazia.