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GL'INNAMORATI | 51 |
Flamminia. Sì signore; è sull’armadio nella mia camera.
Fabrizio. Voglio fare un dolce e brusco per il mio padrone. Oh compatisca, signor Fulgenzio; l’avevo preso per il signor Ridolfo. Bravo; è venuto a favorirci, ho piacere, vuol restare a pranzo con noi?
Fulgenzio. Vi ringrazio, signore...
Fabrizio. Signor Conte, si contenta che si inviti a pranzo con noi questo nobile cittadino? È una perla, veda, è oro colato.
Roberto. Signore, non siete padrone voi in casa vostra?
Fabrizio. No, fin tanto che il signor Conte sta in Milano, egli è il padrone di casa mia.
Fulgenzio. Ci sta molto il signor Conte in Milano? (a Fabrizio)
Fabrizio. Oh, ci starà un pezzo. Ha una lite, e gliela dirige quell’uomo grande, quell’uomo celebre del signor Ridolfo.
Fulgenzio. (E queste signore mi hanno dato ad intendere che parte presto. Le bugie non si dicono a caso).
Fabrizio. Signor Conte, io ho degli affari; non potrò essere continuamente a servirla. Ecco chi la servirà, il primo letterato d’Europa. Uno che vanta il sangue puro purissimo della più cospicua cittadinanza sino al tempo dei Longobardi. Intendente di tutto, specialmente di quadri. Ha veduto la mia piccola galleria? (a Roberto)
Roberto. Sì signor, l’ho veduta e ammirata.
Fabrizio. Ma in due ore non si può veder tutto.
Fulgenzio. Sono due ore che è qui il signor Conte? (a Fabrizio)
Fabrizio. Sì certo, è venuto a favorirmi per tempo.
Fulgenzio. (E mi dissero ch’era venuto in quel punto! Questo non si chiama sottilizzare. Sono bugie patenti).
Fabrizio. Oggi, signor Fulgenzio, avrete l’onor di pranzare col primo lume della nobiltà, colla prima stella d’Italia, col più ricco cavaliere privato dei nostri giorni.
Roberto. (E tira innanzi così).
Fulgenzio. Ma io, signore, non posso profittar delle vostre grazie.
Fabrizio. Che serve?
Fulgenzio. No certo.