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48 | ATTO SECONDO |
consorte; so di avergli dato un disgusto, me ne dispiace, e non son contenta se non lo vedo pacificato. (Così non mi seccherà più costui colle sue sguaiataggini).
Flamminia. Sentite, che bel carattere è quello di mia sorella? La sincerità non vi è oro che la paghi.
Roberto. Mi piace tanto la verità in bocca di una fanciulla, e sono sì poco avvezzo a sperimentarla, che sempre più la signora Eugenia mi obbliga a riverirla e ad amarla.
Eugenia. Sono tenuta alla vostra bontà, e mi rincresce che inutilmente impiegate il vostro amore e la vostra stima, (con serietà)
Roberto. Non per questo cesserò di sperare.
Eugenia. E in che volete sperare?
Roberto. Nelle vicende della fortuna, nei casi che possono impensatamente accadere; in qualche esempio di mutazioni accadute. Chi sa? anche i grandi amori sono soggetti alle loro peripezie. Anzi, quando le cose sono giunte all’eccesso, per lo più sono forzate a retrocedere, a diminuire. Caso mai che il vostro amante non fosse fido, quanto voi siete, avrò sempre anticipata la mia onesta dichiarazione.
Flamminia. Non dice male il signor Conte. Il suo amore non pregiudica nè voi, nè il signor Fulgenzio, e non si possono prevedere i casi. (Io non vorrei veder nessuno scontento), (da sè)
Eugenia. Per me non vi hanno da essere altri casi. O di Fulgenzio, o di nessun altro.
Roberto. Così dovete dire, e mi compiaccio che lo diciate; ma dei casi ne potriano succedere.
Eugenia. Non vorrei che foste l’augello del malaugurio.
Roberto. No, signora, non mi prendete in cattiva parte.
Flamminia. È un cavalier di garbo, il signor Conte, (ad Eugenia) Convien compatirla. Parla così, perch’è innamorata. (a Roberto)
Roberto. Siatelo, che il cielo vi benedica. Ma state allegra. Io non vi darò molestia su questo punto. Divertiamoci; parliamo di cose liete. (ad Eugenia)
Eugenia. È impossibile, signore; ho il core troppo angustiato.